centro cultural tina modotti caracas Robo Richey a Tina Modotti, 1922
Robo Richey a Tina Modotti, 1922
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Ho scoperto Tina Modotti vent’anni fa attraverso le sue fotografie. Indagando sulla sua vita e sul suo lavoro (non sapevo ancora a che scopo), scoprii la sua forza d’animo, il suo temperamento poetico, il coraggio nell’affrontare la povertà e il dolore, il nomadismo e la drammatica caduta in disgrazia. Incontrando i suoi amici, è stata una sorpresa vedere quante lacrime velassero i loro occhi invecchiati nel ricordare episodi di decenni prima. Poi, una domenica mattina, il 24 aprile 1994, guardai Tina sotto una luce sorprendentemente diversa.
Il materiale biografico ufficiale riporta il matrimonio di Tina Modotti col grande Roubaix de l’Abrie Richey, detto Robo, un enigmatico artista di origini franco-canadesi.
Pensavo che, scoprendo qualcosa di più sul marito di Tina, avrei portato alla luce la sua trasformazione, nel periodo che la coppia aveva trascorso insieme, dall’immigrata italiana senza titolo di studio all’attrice mondana pronta a diventare fotografa. Avevo iniziato le mie ricerche su Robo in Quebec, ma presto scoprii che era nato e cresciuto in Oregon. Una serie di telefonate culminarono in un viaggio a Roseburg, in Oregon, a casa del cugino di secondo grado di Robo. Quel mattino di primavera, poco prima delle nove, mio marito ed io imboccammo l’interstate 5 per un breve viaggio in auto verso la graziosa campagna collinare a ovest. Il sole splendeva e sembrava una domenica di Pasqua, con l’erba verde brillante ai lati della strada e gli agnelli che pascolavano nei campi. Tina non andò mai in Oregon, ma sentii comunque un leggero brivido di contatto mentre ci avvicinavamo alla deliziosa fattoria disseminata di erba e trifogli, con la scritta che annunciava, in una variante del secondo nome di Robo, Ranch La Brie.
Ruth e LaBrie Ritchie furono estremamente ospitali, e, dopo una conversazione lunga e illuminante sulla loro famiglia, la coppia ci mostrò due bauli, che il bracciante aveva portato giù dal solaio quella mattina presto. Uno era pesante ed elegante allo stesso tempo, costruito in metallo con venature in legno, foderato con carta decorativa e dotato di un ripiano estraibile per i pennelli e un cavalletto pieghevole. L’altro, una cassa solida di quercia, sembrava fosse arrivato in occidente un secolo prima su un carro del far west. Erano entrambi scricchiolanti, odoravano di legno vecchio, ed erano ricolmi di fogli, fotografie, riviste, e ricordi. Tra gli oggetti dell’Esposizione Panama-Pacific di San Francisco del 1915, copie sbrindellate di The Smart Set, bandierine del liceo, album, pacchi di ricevute, telegrammi, documenti legali… notai la scrittura di Tina Modotti su una busta.
I Ritchie insistettero, così io e mio marito portammo i bauli a casa, in California dove, seduta in soggiorno, ne lessi i contenuti per tre giorni fino a notte fonda. Come il genio dalla lampada, da quei bauli venne fuori, dopo più di settant’anni, la vita di Tina con Robo: un alternarsi di momenti drammatici e di periodi in cui non accadeva praticamente nulla. Scorrendo le pagine lise di due copie del Rubáiyát of Omar Khayyám, che Robo amava leggere ad alta voce a Tina, e in alcuni album, trovai molte fotografie di lei, alcune belle, altre frivole, altre sfocate, come accade in tutte le famiglie.
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Patricia Albers
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