collettivo culturale tuttomondo Juana de Ibarbourou
L’anima che ti dono è nuda
come una statua svelata.
Nuda con l’impudenza
di un frutto, di una stella, di un fiore
di tutto ciò che conserva l’infinita
serenità di Eva, prima della maledizione.
Di tutte le cose,
frutti, astri, rose
che non si vergognano del sesso
senza veli, per cui non esiste veste.
Nuda e aperta per
l’ansia di amare.
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Te doy mi alma desnuda,
Como estatua a la cual ningún cendal escuda.
Desnuda con el puro impudor
De un fruto, de una estrella o una flor;
De todas esas cosas que tienen la infinita
Serenidad de Eva antes de ser maldita.
De todas esas cosas,
Frutos, astros y rosas,
Que no sienten vergüenza del sexo sin celajes
Y a quienes nadie osara fabricarles ropajes.
Sin velos, como el cuerpo de una diosa serena
¡Que tuviera una intensa blancura de azucena!
Desnuda, y toda abierta de par en par
¡Por el ansia del amar!
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Juana de Ibarbourou
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opera: Vittorio Matteo Corcos, Il gatto bianco, 1891 – dettaglio – clicca sull’ immagine per opera completa
Juana de Ibarbourou, all’anagrafe Juanita Fernández Morales (Melo, 8 marzo 1895 – Montevideo, 15 luglio 1979), è stata una poetessa e scrittrice uruguaiana.
Già nella prima raccolta di versi intitolata Las lenguas de diamante (1918), così come nella prosa El cántaro fresco (1920), nell’autobiografia Chico Carlo (1944), nell’opera teatrale Los sueños de Natacha (1945), la Ibarbourou si caratterizzò per una diffusa sensualità, una grande sensibilità, gioia, ottimismo e per elementi modernisti, simbolisti, elegiaci, grazie ai quali trattò del mondo della natura, della società e del popolo americano, attingendo a piene mani dalla mitologia (Wikipedia)
Di certo, la bellezza – pur tuttavia opalescente, passeggera, ‘fotografica’ – ne acuì la leggenda.
Nel 1938, presso l’Università di Montevideo, insieme a Gabriela Mistral e ad Alfonsina Storni, fu chiamata a dire la sua riguardo all’atto della creazione poetica. Intitolò il suo discorso Casi en pantuflas: disse che il poeta non aveva bisogno di ruoli né di aureole, di statue o piedistalli ma di solitudine; che la poesia si coglieva negli anfratti del quotidiano; che lei faceva versi così, in pantofole, reclusa, paladina del caso.
La Mistral – che nel 1945 avrebbe ricevuto il Nobel per la letteratura – la riteneva un idolo, un monito; pubblicò il primo libro, Las lenguas de diamante, nel 1918: alcuni la accusarono di oscenità, di eccesso erotico, di simbolismo carnale. All’epoca, Juana Fernandez Morales si firmava Jeannette d’Ibar, mescolando lo sciroppo francese all’afrore esotico, arabo.
Presto optò per lo pseudonimo che la rese una celebrità: Juana de Ibarbourou.