cctm collettivo culturale tuttomondo Fernanda Pivano a Cesare Pavese
Fernanda Pivano a Cesare Pavese, aprile 1943
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«Caro Pavese io sono così contenta e so bene che lo devo a lei»
Fernanda Pivano a Cesare Pavese, aprile 1943
di Giusy Gatti Perlangeli
Era l’anno scolastico 1934-1935 quando il ventiseienne Cesare Pavese viene nominato supplente di italiano nella sezione B del Liceo Classico “D’Azeglio” di Torino. Tra i banchi la futura traduttrice, poetessa e scopritrice di talenti della Beat Generation, Fernanda Pivano.
È lei stessa a raccontare nei Diari 1917 – 1973 (editi da Bompiani) il primo incontro con quel professore «giovane giovane» che per alcuni mesi coinvolse la classe con letture di Momigliano, di Croce e di De Sanctis. Annota nel suo diario “lo straordinario privilegio” di ascoltare Pavese mentre «leggeva Dante o Guido Guinizzelli e li rendeva chiari come la luce del sole».
Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato il 15 maggio del ’35 e poi condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro.
S’incontrarono ancora nel 1938.
Fernanda si divideva tra il Conservatorio e l’università, quando Pavese, tornato dal confino, le portò i quattro libri in inglese che l’avrebbero fatta appassionare alla letteratura statunitense: Addio alle armi di Ernest Hemingway (che tradusse clandestinamente in lingua italiana e per questo fu arrestata), Foglie d’erba di Walt Whitman, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e l’autobiografia di Sherwood Anderson.
Queste opera cambieranno per sempre la sua vita e il corso della cultura e dell’editoria italiana.
Lo scambio epistolare tra i due risulta davvero prezioso per ricostruire il disagio (soprattutto di lui) e la voglia di riscatto e indipendenza di genere (di lei) in un contesto storico ben delineato: quello della censura fascista e della guerra. La prima lettera è datata 22 agosto del 1940, l’ultima luglio 1945.
Lui si atteggia a mentore della giovane mentre, forse, avrebbe voluto solo abbandonarsi al sentimento. C’è uno scritto inedito, datato 11 gennaio 1943, in cui, anziché palesare la propria preoccupazione per il richiamo alle armi che aveva appena ricevuto, è in pena per lei che incarna il suo ideale di donna «preziosa in un essere ignorato» (Il mestiere di vivere, Einaudi) e che spiccava per quella vivace intelligenza che la rendeva tanto diversa dalle «ragazze qualsiasi» (Vita attraverso le lettere, Einaudi).
Nelle lettere a Nanda ritroviamo un Pavese capace di atteggiamenti contrastanti: in alcune prevale l’uomo innamorato, in altre assume un tono vagamente paterno, in altre ancora indugia sulle proprie debolezze mostrando una propensione analitica verso la quella incapacità oggettiva di creare un legame affettivo autentico e duraturo.
La chiede in sposa due volte (nel 1940 e nel 1945, immortalando queste due date sul frontespizio di Feria d’agosto») ma senza successo.
Lei è innamorata da tempo dell’architetto Ettore Sottsass jr e non corrisponde il sentimento del suo mentore. Ma gli è grata del mondo che le ha fatto scoprire: «Caro Pavese io sono così contenta e so bene che lo devo a lei», annota su un biglietto.