cctm collettivo culturale tuttomondo Camminare sulla linea gialla
Camminare sulla linea gialla di Alessandra Rivolta (Italia)
Chissà perché mi è tornato in mente.
Forse è per via delle letture che faccio. Un altro libro come droga, come alcol caldo per stordirmi, per affogare in emozioni non mie, per vivere vite di altri. Forse queste emozioni inventate hanno smosso qualcosa nel mio fondo. Forse sono io che invento in me un fondo torbido, misterioso per farmi personaggio da romanzo. Forse dovrei leggere solo commediole brillanti per ridarmi un po’ di quella leggerezza che sento mi sta scivolando via.
Chissà perché mi è tornato in mente.
Ero una ragazza. Una come tante. Avevo capelli ricci tagliati male. Vestivo con i cappotti cuciti in casa dalla mamma e jeans alla moda. Non una bellezza, no. Ma neanche brutta. Una faccia anonima di quelle che si dimenticano. Avevo una vita normale. Serena. L’università, le amiche, le attività in parrocchia, qualche amore di poco conto, l’attesa.
Ecco, sì: l’attesa sopra ogni cosa.
L’attesa che la mia vita sbocciasse. L’attesa di decisioni che ti cambiano la vita, di amori dirompenti, di avventure fuori programma. Quella vita che sapevo esistere, ma che passava lontana dalla mia tranquilla spiaggia. Le cose normali dei miei vent’anni da ragazza di provincia riempivano le mie giornate. I pomeriggi passati a chiacchierare. Le serate a cercare qualcuno per cui valesse la pena essere affascinante. I primi concerti e i primi timidi viaggi. L’ebbrezza delle idee nuove, della conoscenza. La scoperta di un mondo fuori dalla mia sonnolenta Brianza: accenti e abitudini diverse vestiti con le stesse scarpe e gli stessi sorrisi.
Cose normali a riempire giornate normali: alzarsi presto, prendere il treno, le lezioni in università, il caffè al bar, il pranzo in mensa , la metro per tornare in stazione.
E lì sulla banchina della metro quel senso di vuoto.
L’attesa di una vita vera che diventa ansia, paura di restare intrappolata nella palude della normalità. La voglia di essere viva e la paura di vivere. Il desiderio ribelle di fare qualche follia e il buon senso di stare dalla parte della ragione. È come essere tirata da due parti: per conseguenza resto bloccata nel mezzo. Nel mezzo del nulla con un vuoto dentro che cresce. Un vuoto che nascondo dietro gli impegni soliti delle mie giornate normali. Un vuoto che riesco a vedere solo li su quella banchina della metropolitana.
Guardando quel vuoto desolante di paura comincio il mio gioco.
Tra il vorrei fare e il non sta bene farlo. Tra il vorrei essere e il tanto non sono nessuno comincio a camminare a ridosso della linea gialla. Quella linea che delimita la fine del marciapiede prima del buco dei binari. Ci cammino sempre più vicino fino a passarci sopra. Le prime volte quando sento il treno arrivare mi sposto. Poi ritardo sempre più il momento dello scarto. Sto li ad aspettare lo schiaffo del vento in faccia. Ogni volta guadagno qualche centimetro verso il bordo. Non è niente di pericoloso è solo un giochetto scemo.
Ma in quell’attimo mentre sento le vibrazioni del treno sotto i piedi ho l’esatta visione del vuoto che ho dentro.
È un abisso nero che mi può inghiottire. Di fronte a quel nero che mi mangia che può salire in un attimo ed inghiottirmi il passo che mi separa dal treno in arrivo non è così pauroso. Quel passo che mi farebbe sprofondare sui binari e sotto il treno ma mi salverebbe da quel nulla che sta crescendo. È un passo. Un passo che non ho mai fatto ma che da allora rientra nel campo delle possibilità. È come una consapevolezza che mi porto dentro insieme al mio personale abisso.
Una possibilità che mi ha accompagnato anche nei molti momenti belli della mia vita fortunata. Basta un passo. Basta non farlo.
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da Voi siete qui, 2014
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Photo by Femke Ongena on Unsplash
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