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Annalisa Mercurio (Italia)

03/01/2023 By carlaita

collettivo culturale tuttomondo Annalisa Mercurio (Italia)

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Avete voluto bene a me, al mio labbro, ai miei due pezzi di cielo di Annalisa Mercurio (Italia)

Sono nata, una vita fa, con labbro leporino e palatoschisi.
Non c’erano le tecniche chirurgiche odierne, e all’epoca pensai bene di far esplodere tutti i punti del secondo intervento chirurgico, (che sarebbe dovuto essere l’intervento riparatorio), con un raffreddore.
A posto.
Nemmeno il chirurgo plastico più in voga degli anni ’80 (Ivo Pitanguy) e un viaggio in Brasile per un nuovo intervento, (il quinto), riuscirono a rimediare al danno.
Ed eccomi qui, dopo cinquant’anni a raccontarvi di me.
Vi racconto dei bambini all’asilo, che dicevano “tu non hai una bocca”, vi racconto la cattiveria dei compagni di scuola delle medie, che mi chiamavano “Pigghie il maiale” e all’epoca questo no, non si chiamava bullismo, si chiamava scuola di vita.
Ma il Divino (qualunque nome Egli abbia) in fondo fu buono con me, e pensò di sopperire alla malefatte con un bel paio di occhi.
Eh dai, la modestia è una gran cosa, ma gli occhi che mi diedero in dotazione, sono nonostante l’età ancora due bei pezzi di cielo, e sono stati per molto tempo la mia ancora di salvezza.
Ricordo come fosse ieri, che in un nebbioso giorno d’inverno del 1973 chiesi a mia madre: “ma io mi sposerò?”
Avevo quattro anni. La domanda potrebbe sembrare un’assurda domanda qualunque di una qualunque quattrenne, ma ricordo benissimo che nella mia testa suonava come: “ma qualcuno mi amerà? Mi amerà qualcuno nonostante le mie cicatrici?”
E ricordo, che mentre mia madre borbottava qualcosa di poco rassicurante, pensai: “forse, i miei occhi mi salveranno dalla solitudine”.
Poi, crebbi.
A dodici anni fui mandata a far visita ad un uomo in preda a depressione causatagli dalla nascita di un figlio con labiopalatoschisi.
Dodici anni.
Dovevo far coraggio ad un uomo che ne avrà avuti quaranta, quando, alle prese con gli amori adolescenziali, pensavo ancora alla domanda posta a mia madre all’età di quattro anni, e non sapevo se qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di baciarmi.
Poi l’amore arrivò, e qualcuno per la prima volta, vide solo i miei occhi. E il primo amore così com’era arrivato, se ne andò.
Ma no non fu colpa delle cicatrici, almeno non di quelle visibili.
Chi ha sentito parlare di Kintsugi, sa che è una pratica giapponese che ripara oggetti di ceramica rotti, legandoli con colate di oro, o altro materiale prezioso; ecco, nel tempo ho imparato a riparare i danni delle cicatrici con un kintsugi interiore.
Ed è così che il mio difetto divenne forza.
Me ne accorsi il giorno in cui mi presentai ad una persona, (che poi, dopo rocambolesche avventure amai tanto), senza chiedermi se stesse in quel momento guardando le mie labbra asimmetriche.
Non so, davvero non so se potete capire cosa significhi chiedersi per una vita, ogni volta che parlate con qualcuno, se vi sta ascoltando, o se sta guardando il difetto che avete stampato in faccia dal giorno in cui siete venuti al mondo.
Ma un giorno, questa sensazione sparì, ed io diventai allora un mondo che andava oltre gli interventi chirurgici, oltre le pieghe cicatriziali, oltre il desiderio di essere desiderata.
Non so chi o cosa abbia compiuto il “miracolo”. Gli amici? La danza? Il primo ragazzo che mi ha baciata? Lo sguardo di un uomo? Le parole di una donna?
Non so, davvero non so.
Molto tempo dopo, diventata donna, e mamma, ho consolato altre mamme con bimbi nati con il mio stesso “timbro”, questa volta con una consapevolezza davvero differente.
Ricordo la telefonata di un’amica in lacrime quando in gravidanza le diedero la notizia, e la visita in ospedale quando nacque il piccolino; lei mi chiedeva supporto, perché vedeva in me qualcuno che aveva scavalcato la staccionata, e nella sua disperazione mi chiedeva scusa, temendo che le sue lacrime potessero offendermi. Ma non ero affatto offesa. Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata, ma ora più che mai potevo assicurare loro che non sarebbe stata nemmeno una tragedia.
Ed eccomi ora.
51 anni, una famiglia, ed altri amori che non dimenticherò mai, e che, sono certa non mi dimenticheranno mai.
E ringrazio i miei occhi, che nei momenti più bui sono stati un’ancora di salvezza, un gancio al quale aggrapparmi.
Perché ve lo racconto? Non so nemmeno questo.
Forse perché mi volete bene e me ne avete voluto nei momenti più incredibili, prima che imparassi a truccarmi, ve lo racconto perché molti di voi non sanno come ho vissuto questa condizione, (ma questo 2020 è per me l’anno delle rivelazioni), perché molti non sanno come un piccolo difetto fisico possa segnare una vita.
Lo racconto per dirvi grazie, perché mi avete voluto bene anche se non perfetta, e un grazie speciale agli amici conosciuti da bambina e da ragazza, quando le insicurezze erano tutte lì a farmi compagnia.
Ah dimenticavo, ora so che non è nemmeno per i miei occhi che mi avete voluto bene, ora so che avete guardato ben oltre e per questo avrete sempre un posto speciale nel mio cuore.

https://www.facebook.com/annalisa.mercurio.777

foto: Annalisa Mercurio

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Erano di pietra celeste, tutti fichi d'india, e qu Erano di pietra celeste, tutti fichi d'india, e quando si incontrava anima viva era un ragazzo che andava o tornava, lungo la linea, per cogliere i frutti coronati di spine che crescevano, corallo, sulla pietra.
Elio Vittorini

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Doris Bellomusto Cosa so dell’amore? … https:/ Doris Bellomusto Cosa so dell’amore? … https://cctm.website/doris-bellomusto-cosa-so-dellamore/
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Non ho mai capito dove finisce l’amore che non u Non ho mai capito dove finisce
l’amore che non usi.
Vorrei, da brava massaia,
usarne gli avanzi per le polpette, concimarci le piante … https://cctm.website/stella-poli-italia/
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Tra due persone accade che talvolta, molto raramen Tra due persone accade che talvolta, molto raramente, nasca un mondo.

Questo mondo è poi la loro patria, era comunque l’unica patria che noi eravamo disposti a riconoscere. Un minuscolo microcosmo, in cui ci si può sempre salvare dal mondo che crolla.

Martin Heidegger

foto Laura Makabresku
Non sono solitario, le dissi. E stavo per aggiung Non sono solitario, le dissi. 
E stavo per aggiungere: sono solo, è diverso.

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🍁🍂 🍁🍂
Qual è la parola per dire che non si hanno più s Qual è la parola per dire che non si hanno più sentimenti
negativi verso chi ti ha ferito?
Perdono, mi hanno risposto. Ma io volevo, al contrario, parlare
del rancore.
Questo è stato l’inizio e può valere come esempio.
Ogni giorno c’è una parola nuova di cui non ricordo il senso
e il cui suono tintinna un motivo percepito a brani
familiare una volta, ora perduto.
La sua luce abituale cade. Di colpo non importa,
provo rancore, perdono chi prova rancore, mi perdono?
C’è un alfabeto incomprensibile, un linguaggio dimenticato.
I nomi ruotano privi della loro materia fin dal mattino.
Come chiamare la stoffa bianca che il vento muove davanti
alla vetrata?
Tenda, tende. Il riso mi si annida in gola.
Lei, cioè io, tende a cosa?
Qui so rispondere: tendo alla terza persona
alla grazia sperimentata una volta sola
di un dolore sdoppiato e spinto fuori
poi fissato, ascoltato perfino nello scroscio delle lacrime
ma da un’altra me stessa
capace di lasciare la sua vecchia pelle sulla terra.

Antonella Anedda 

 foto © Nini Kubaneishvili
Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi s Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, a usare la maschera. 

Emil Cioran
foto Saul Leiter
Fabio Magnasciutti Fabio Magnasciutti
Per riuscire a capire il mondo, a volte bisogna di Per riuscire a capire il mondo, a volte bisogna distrarsi.

Albert Camus

foto keristi  k
di Maya Angelou Ho imparato che qualsiasi cosa a di Maya Angelou 

Ho imparato che qualsiasi cosa accada, o per quanto l’oggi sembri insopportabilmente brutto, la vita va sempre avanti e il domani sarà  migliore.
Ho imparato che si può capire molto di una persona dalla maniera in cui affronta queste tre cose: una giornata piovosa, la perdita del bagaglio, l’intrico delle luci dell’albero di Natale.
Ho imparato, indipendentemente dal rapporto che abbiamo coi nostri genitori, che ci mancheranno quando saranno usciti dalla nostra vita.
Ho imparato che il semplice sopravvivere è diverso da vivere.
Ho imparato che la vita qualche volta consente una seconda chance.
Ho imparato che non si può affrontare la vita con i guantoni da baseball su entrambe le mani: si ha sempre bisogno di gettare qualcosa dietro le spalle.
Ho imparato che ogni volta che prendo una decisione col cuore, generalmente faccio la scelta giusta.
Ho imparato che anche quando ho delle sofferenze non devo essere una sofferenza.
Ho imparato che ogni giorno si dovrebbe uscire ed avere contatti con qualcuno.
Ho imparato che le persone gradiscono molto un abbraccio, o anche semplicemente una pacca sulle spalle.
Ho imparato che ho ancora molto da imparare.
Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto hai detto, dimenticheranno quanto hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.

illustrazione Ofra Amit
Carezze, ecco. Io se fossi una mano sognerei care Carezze, ecco. 
Io se fossi una mano sognerei carezze, quel bel contatto che consola la pelle che le riceve e anche quella che le fa.

Sergio Claudio Perroni

Foto: Laura Makabresku
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