collettivo culturale tuttomondo Annalisa Mercurio (Italia)
Avete voluto bene a me, al mio labbro, ai miei due pezzi di cielo di Annalisa Mercurio (Italia)
Sono nata, una vita fa, con labbro leporino e palatoschisi.
Non c’erano le tecniche chirurgiche odierne, e all’epoca pensai bene di far esplodere tutti i punti del secondo intervento chirurgico, (che sarebbe dovuto essere l’intervento riparatorio), con un raffreddore.
A posto.
Nemmeno il chirurgo plastico più in voga degli anni ’80 (Ivo Pitanguy) e un viaggio in Brasile per un nuovo intervento, (il quinto), riuscirono a rimediare al danno.
Ed eccomi qui, dopo cinquant’anni a raccontarvi di me.
Vi racconto dei bambini all’asilo, che dicevano “tu non hai una bocca”, vi racconto la cattiveria dei compagni di scuola delle medie, che mi chiamavano “Pigghie il maiale” e all’epoca questo no, non si chiamava bullismo, si chiamava scuola di vita.
Ma il Divino (qualunque nome Egli abbia) in fondo fu buono con me, e pensò di sopperire alla malefatte con un bel paio di occhi.
Eh dai, la modestia è una gran cosa, ma gli occhi che mi diedero in dotazione, sono nonostante l’età ancora due bei pezzi di cielo, e sono stati per molto tempo la mia ancora di salvezza.
Ricordo come fosse ieri, che in un nebbioso giorno d’inverno del 1973 chiesi a mia madre: “ma io mi sposerò?”
Avevo quattro anni. La domanda potrebbe sembrare un’assurda domanda qualunque di una qualunque quattrenne, ma ricordo benissimo che nella mia testa suonava come: “ma qualcuno mi amerà? Mi amerà qualcuno nonostante le mie cicatrici?”
E ricordo, che mentre mia madre borbottava qualcosa di poco rassicurante, pensai: “forse, i miei occhi mi salveranno dalla solitudine”.
Poi, crebbi.
A dodici anni fui mandata a far visita ad un uomo in preda a depressione causatagli dalla nascita di un figlio con labiopalatoschisi.
Dodici anni.
Dovevo far coraggio ad un uomo che ne avrà avuti quaranta, quando, alle prese con gli amori adolescenziali, pensavo ancora alla domanda posta a mia madre all’età di quattro anni, e non sapevo se qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di baciarmi.
Poi l’amore arrivò, e qualcuno per la prima volta, vide solo i miei occhi. E il primo amore così com’era arrivato, se ne andò.
Ma no non fu colpa delle cicatrici, almeno non di quelle visibili.
Chi ha sentito parlare di Kintsugi, sa che è una pratica giapponese che ripara oggetti di ceramica rotti, legandoli con colate di oro, o altro materiale prezioso; ecco, nel tempo ho imparato a riparare i danni delle cicatrici con un kintsugi interiore.
Ed è così che il mio difetto divenne forza.
Me ne accorsi il giorno in cui mi presentai ad una persona, (che poi, dopo rocambolesche avventure amai tanto), senza chiedermi se stesse in quel momento guardando le mie labbra asimmetriche.
Non so, davvero non so se potete capire cosa significhi chiedersi per una vita, ogni volta che parlate con qualcuno, se vi sta ascoltando, o se sta guardando il difetto che avete stampato in faccia dal giorno in cui siete venuti al mondo.
Ma un giorno, questa sensazione sparì, ed io diventai allora un mondo che andava oltre gli interventi chirurgici, oltre le pieghe cicatriziali, oltre il desiderio di essere desiderata.
Non so chi o cosa abbia compiuto il “miracolo”. Gli amici? La danza? Il primo ragazzo che mi ha baciata? Lo sguardo di un uomo? Le parole di una donna?
Non so, davvero non so.
Molto tempo dopo, diventata donna, e mamma, ho consolato altre mamme con bimbi nati con il mio stesso “timbro”, questa volta con una consapevolezza davvero differente.
Ricordo la telefonata di un’amica in lacrime quando in gravidanza le diedero la notizia, e la visita in ospedale quando nacque il piccolino; lei mi chiedeva supporto, perché vedeva in me qualcuno che aveva scavalcato la staccionata, e nella sua disperazione mi chiedeva scusa, temendo che le sue lacrime potessero offendermi. Ma non ero affatto offesa. Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata, ma ora più che mai potevo assicurare loro che non sarebbe stata nemmeno una tragedia.
Ed eccomi ora.
51 anni, una famiglia, ed altri amori che non dimenticherò mai, e che, sono certa non mi dimenticheranno mai.
E ringrazio i miei occhi, che nei momenti più bui sono stati un’ancora di salvezza, un gancio al quale aggrapparmi.
Perché ve lo racconto? Non so nemmeno questo.
Forse perché mi volete bene e me ne avete voluto nei momenti più incredibili, prima che imparassi a truccarmi, ve lo racconto perché molti di voi non sanno come ho vissuto questa condizione, (ma questo 2020 è per me l’anno delle rivelazioni), perché molti non sanno come un piccolo difetto fisico possa segnare una vita.
Lo racconto per dirvi grazie, perché mi avete voluto bene anche se non perfetta, e un grazie speciale agli amici conosciuti da bambina e da ragazza, quando le insicurezze erano tutte lì a farmi compagnia.
Ah dimenticavo, ora so che non è nemmeno per i miei occhi che mi avete voluto bene, ora so che avete guardato ben oltre e per questo avrete sempre un posto speciale nel mio cuore.
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foto: Annalisa Mercurio
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