cctm collettivo culturale tuttomondo Alda Merini Lettere al dottor G
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Addio dottore,
caro buon dottore che non ha mai capito nulla e che non crede nella cattiveria umana, che pensa che il cuore degli uomini sia bianco come la neve delle sue montagne, addio, amico, confidente, benefattore, insigne animo forse frustrato come il mio: non so ma ho un bel triste presentimento.
Noi ci conosciamo da anni e in realtà non ci siamo mai conosciuti se non traverso le luci sinistre del Noritren e delle altre diavolerie farmacologiche e pure a nostro modo ci siamo voluti bene, a nostro modo, io specialmente, abbiamo contato l’uno sull’altro . Ma adesso non contiamo più, noi non valiamo nulla perché siamo buoni e se domani mi accadrà qualcosa si rammenti di me e del fatto che ho guardato a lei come si guarda a un seno materno per schiacciarvi contro tante e tante lacrime che lei non ha mai raccolto ma che io ho pianto in segreto. Addio dolce uomo disperso, ancora romantico come sono romantica io, forse potevamo essere due colleghi invece il destino ci ha creato un rapporto di dipendenza ed io vengo da lei come si va alla gogna o per scoprire il seno pugnalato da una mano ignota.
Così, potevamo collaborare invece ci perdiamo sempre di vista.
Addio mio caro e amatissimo dottore, sento per me è la fine.
Sua Alda Merini
da Lettere al dottor G, Frassinelli, 2008
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foto: Alda Merini
Questo libro nasce dal ritrovamento, dopo più di trent’anni, di una serie di fogli scritti da Alda Merini nel lungo periodo di internamento in ospedale psichiatrico, quasi un decennio a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.
Si tratta di lettere, poesie, pagine di diario indirizzate in gran parte al dottor G, ovvero Enzo Cabrici, il neuropsichiatra che l’aveva presa in cura e che firma la prefazione al volume. L’esperienza del manicomio è stata centrale non solo nell’esistenza, ma anche per l’opera di Alda Merini la quale, dopo essere stata restituita alla sua famiglia e al suo mondo, ha avviato una riflessione sulla vita all’interno dell’istituto che ha prodotto liriche e prose di grande intensità.
Le pagine contenute in questo testo – scritte di getto, su suggerimento degli stessi medici – illuminano invece il percorso di Alda Merini nell’intervallo in cui il processo creativo si era interrotto a causa della malattia: la sofferenza angosciosa, gli incubi prodotti dalle pesanti terapie, la nostalgia delle figlie, la gratitudine per i segni d’amore ricevuti da qualche compagno di sventura e soprattutto, la fiducia nell’uomo “dolce e romantico”, vestito dal camice bianco, che le ha restituito il dono salvifico della poesia.
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