cctm collettivo culturale tuttomondo Viola Amarelli (Italia)
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Cazzo, abbiamo studiato, letto saggi e tesine,
scritto dissertazioni, zeppe di citazioni e
d’ironia edotte viaggiando in lungo e in largo
abbiamo anche lottato per un posto in palestra
per un look più adatto, fissati i punti g
pianificati ombretti, prese tutte le pillole
si è persino deciso: sedurre, quanto basta,
abbandonando spesso, senza metterci il cuore
senza il becco di un soldo, senza il lusso di figli,
tutto per essere, insomma, una persona, cazzo,
quello che sognavamo, anni di allenamento
a diventare neutre, fidando noi in noi stesse
mentre per tutti quelli intorno/addosso/sopra
rimanevamo donne, nel cuore del problema
che resta, ci hanno detto, se darla,
a quale prezzo.
Viola Amarelli
da Le nudecrude cose e altre faccende, L’arcolaio, 2011
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immagine dal web
Le parole per scardinare, i versi per conoscere. Seguire il ritmo e la musicalità per scandagliare l’esistenza, la vita, la realtà.
Le nudecrude cose e altre faccende di Viola Amarelli, casa editrice L’arcolaio, è una raccolta di poesie dell’autrice campana. A muovere la sua scritture “è sempre qualche aspetto paradossale della realtà o una fascinazione sonora di parole”.
“Piano sciogli il dolore/ il freddo acuto/ ghiaccio dentro il sangue/ piano, chiaro/ cammina respirando/ inutile il timore/ il giorno ama la notte/ questa perfezione”, è Oltre, una delle opere di questa raccolta, da tenere accanto per quando si ha bisogno di interpretare la realtà.
“La parola conforta, urla, stimola, rasserena, esprime, falsifica, rimarca, ingiuria. Ricorda”. “Era l’ora del loop, della saudade/ dello tsunami del tempo che schiantava/ gonfio di mastocisti e di fibromi./ Era l’ora di lotte logorate/ vittorie trasmutate in agro sale/ battaglie di ceneri e lapilli,/ il mondo a reclamare a piena voce/ ragioni antagoniste e sanguinarie/ sul corpo dilaniato alla deriva,/ l’ora delle passioni e del deliquio,/ del gelo che essiccava anema e core./ Era l’ora in cui andava bene un marchettaro/ uno qualunque, il primo che passava, / l’ora che anche lui si rifiutava”, scrive in Tempo.
Lucide visioni, inaspettate istantanee di emozioni, riflessioni. Come in Campagna d’inverno “La luce di gennaio che ora è febbraio filtra le foglie/ dei sempreverdi/ i tronchi con i rami pazienti di vento/ questa immane stanchezza di/ nuvole in corsa, riepilogo di temporali,/ spossa il midollo e la pelle a toccarla si secca/ restano, eroi, i cani randagi e le code di uccelli/ ci vorrebbe un riposo incessante/ un letargo che plachi la crosta e protegga le ossa,/ il latte che è inacidito l’hanno/ buttato nel pozzo, gli sciocchi”.
“Mettetemi il vestito rosso/ e poi alla terra morbida una fossa/ ch’io rinasca verme e insieme mosca/ magari campanula o cicoria/ e tutto questo senza tante storie/ che anche da morti si serve la vita”. Definitiva. (da Pressinbag)
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