cctm collettivo culturale tuttomondo Storia di Riccardo
Storia di Riccardo da #CUORICONNESSI Cyberbullismo, bullismo e storie di vite online, 2025
“La vita mi ha tolto la possibilità di correre e di poter camminare come fanno tutti, ma è niente rispetto a tutto ciò che mi ha regalato e che sono stato capace di costruire un giorno alla volta. La mia vita è bellissima!”
Detto questo Riccardo fa esplodere la sua risata che assomiglia a un inno alla gioia e lui di gioia se ne intende eccome. Ci siamo dati appuntamento in una giornata gelida di dicembre nel cuore della sua Vicenza, mi viene incontro pedalando in sella alla sua fantastica bici a tre ruote. Come sempre è elegantissimo ma tutti quei colori che lo ricoprono sarebbero nulla se non fossero illuminati dalla sua irresistibile voglia di esserci. Troppo freddo per perdersi in chiacchiere nel mezzo della piazza e allora, da buon padrone di casa, Riccardo ci guida nel suo ristorante preferito. Cucina semplice ma raffinata, gente che sorride e soprattutto che appena lo vede entrare corre ad abbracciarlo. Riccardo è un po’ così, dove arriva si porta dietro una scia di umanità contagiosa. Terminato il pranzo ci spostiamo in un salottino, schiaccio rec e comincio a registrare non un’intervista ma una chiacchierata. Ci sono molte cose da comprendere nella vita di questo ragazzo di 27 anni, un’esistenza irrimediabilmente segnata da due secondi, poco più di un battito di ciglia, meno di uno sbadiglio. «Quei due secondi avrebbero potuto rovinare la mia vita se io glielo avessi permesso, ma i miei progetti erano altri», mi dice Riccardo cercando con attenzione le parole giuste. «Io ho subito una paralisi cerebrale infantile, per questo giro con un deambulatore. Due secondi senza ossigeno durante la gravidanza sono stati sufficienti per scrivere una storia completamente diversa da quella che anche la mia famiglia immaginava. Tutto è avvenuto alla ventisettesima settimana di gravidanza e poi, per chi dovesse credere nei numeri, io sono nato sempre il 27, era il febbraio 1998. Spesso chi è colpito da paralisi cerebrale infantile non riesce minimamente a deambulare e neppure a parlare, fortunatamente il mio stadio è il più lieve».
Ascolto con attenzione le sue parole che non concedono il minimo spazio all’autocommiserazione e tutto questo, mentre Riccardo racconta, lo trovo di una straordinaria potenza. La sua enorme capacità è proprio quella di non discostarsi mai dalla realtà e dallo stupore di esserci.
«Sai Luca, io ho bisogno della natura, di respirare i profumi, di sentire sulla pelle il freddo e il caldo. Non dimentico mai che esserci è un privilegio concesso a pochi. Poi c’è l’acqua, lì riesco persino a sconfiggere la forza di gravità. Posso galleggiare, danzare e dimenticarmi bici e deambulatore». Sono gli occhi di Riccardo, e non le parole, a raccontarmi il suo orgoglio nell’essere riuscito a trasformare una debolezza nel punto di forza della sua esistenza. Come fosse una magia. La malattia trasformata in opportunità, le lacrime in sorrisi e le difficoltà in sfide da vincere senza starci troppo a pensare. Eppure, il percorso è stato lungo e sempre in salita; tra le sue più grandi soddisfazioni l’essere riuscito a superare l’esame per la patente, perché in tanti pensavano che non ci sarebbe riuscito. La diagnosi corretta della malattia arrivò dopo diversi anni dalla nascita, ma nel frattempo quel bambino irrequieto stava già imparando ad essere forte, a sfruttare le infinite potenzialità che tutti possediamo ma che molti non riescono a scorgere. Lui ha avuto ben chiaro sin da subito che solo lottando sarebbe stato in grado di acchiappare i suoi sogni e le sue visioni. Alla scuola dell’infanzia gli altri bambini correvano ma lui non riusciva, a volte era il papà a prenderselo sulle spalle ma non era la stessa cosa, però nessuna resa e nessun cedimento, la vita di Riccardo già allora assomigliava molto più a un rumoroso ruscello di montagna che a un lago stagnante e avvolto dal silenzio. Mamma Emanuela e papà Mauro ci sono sempre stati, lo hanno protetto senza mai trasformarlo in un fragile cristallo da conservare all’interno di una teca di vetro. Tutt’altro. Riccardo ha praticato l’equitazione riabilitativa, il nuoto, lo sci e persino il parapendio. «Ti racconto queste cose mica per tirarmela – mi dice Riccardo – ma perché sono orgoglioso delle tante sfide affrontate e soprattutto sono grato ai miei, per avermi sempre stimolato a fare cose e ad accettare sfide per certi versi impensabili. Per certi versi sono stato un privilegiato».
Poi l’adolescenza ed anche qui Riccardo è quello che non ti aspetti, perché i ricordi sono bellissimi a partire dalle scuole medie dove era un leader e spesso ne combinava qualcuna di troppo, magari per paura di passare inosservato.
Spirito libero dai capelli perennemente colorati e dalla forza contagiosa. Questo è stato Riccardo anche alle scuole superiori. Gestibile? Poco. Coraggioso? Sempre. Mai schiavo di una convenzione o della banalità. L’idea della moda, dello stile e della creazione è cresciuta accanto a lui, non si separeranno mai. Era un bambino e non riusciva a staccare gli occhi da Crudelia De Mon, immortale personaggio del libro e poi del film «La carica dei 101», vera icona pop, amata e odiata per la sua raffinata cattiveria e la sua innata eleganza. Riccardo si piazzava di fronte alla tv e puntualmente veniva ipnotizzato dal fascino magnetico di Crudelia. «Sarà stata cattiva e sbagliata, Luca, ma io quel personaggio lo sentivo vicino in quanto ero un po’ arrabbiato con il mondo e ci poteva stare. Ero molto piccolo e la consapevolezza di quanto fossi forte è sbocciata lentamente, giorno dopo giorno». Oggi Riccardo è i colori che indossa, la musica che ascolta, gli amici che lo circondano e poi ci sono loro, i followers, parola fin troppo abusata e per certi versi indefinibile ed impalpabile, ma chi segue Riccardo ha quasi sempre un cuore e un volto, perché quel ragazzo così particolare ha molto da dire e molto da fare. «Una delle cose più belle che mi sento ripetere, quando incontro dei ragazzi che mi seguono online, è che io nella realtà sono identico al Riccardo che apprezzano sui social e questa la considero una enorme gratificazione». Proprio vero, Riccardo non ha due volti, non esistono un backstage e un palcoscenico su cui esibirsi. Lui è così. Prendere o lasciare.
Le linee che guidano il percorso di Riccardo si chiamano libertà e rispetto, quel rispetto che è sempre stato al centro del suo modo di pensare e di agire.
Per lui gli “altri” non sono un concetto astratto. Gli altri li considera una parte fondamentale di se stesso. Nel mondo complicato e a volte subdolo del web, Riccardo Aldi rappresenta una opportunità preziosa per comprendere quanto sia importante costruire un universo online in grado di creare ponti e dialoghi e di seminare conoscenza e civiltà. Di certo il suo esempio è fondamentale per promuovere un corretto sviluppo della tecnologia, quella che semplifica le nostre esistenze e ci aiuta a interpretare meglio la realtà. C’era la neve quel lontano giorno di gennaio. Tanta neve. Vicenza si era risvegliata avvolta di bianco. Riccardo frequentava la prima superiore e lo aspettava una verifica di matematica alla prima ora. A volte si fanno anche cose sbagliate e lui, piuttosto che confessare ai suoi di non essere preparato, quella mattina decise di entrare alla seconda ora, l’occasione per fare ritardo gliela regalò proprio quel manto immacolato. Quando si spalancarono le porte del pullman Riccardo si trovò immerso nella neve fino alle ginocchia e solo in quel momento decise che avrebbe raggiunto l’ingresso della scuola passo dopo passo. Ci sarebbe voluta una mezz’ora? Ci sarebbe riuscito? Beh, l’unica maniera per saperlo era provarci. Mica semplice avanzare spingendo il deambulatore in mezzo a quella neve fresca, ma lui ha insistito, ci ha provato, ha guadagnato centimetri che sono diventati metri e quando finalmente è arrivato di fronte al portone d’ingresso, un gruppo di studenti, anche loro ritardatari, se ne è uscito con un lungo applauso che ha riempito il silenzio del piazzale. Riccardo inizialmente non ha compreso, per lui aver compiuto quello sforzo rappresentava la normalità, ma forse, per chi lo aveva osservato, quel gesto valeva molto di più. Il pomeriggio si era ritrovato a muoversi tra i social e sempre con un certo stupore aveva scoperto che in molti continuavano a ringraziarlo per quell’esempio di forza e di coraggio. Qualcuno era addirittura arrivato a scrivergli che quella mattina non riuscivano a circolare gli spazzaneve e lui, con il suo deambulatore, era stato capace di farsi largo in mezzo alla neve fresca. Riccardo rilegge più volte tutti quei commenti, nel frattempo tanti pensieri si accumulano nella sua mente e alla fine prendono una forma precisa.
La conclusione è semplice, forse nella sua vita potrà raccontare agli altri cosa è in grado di fare, potrà mostrare la sua quotidianità, forse potrà aiutare persone fragili soffiando loro un po’ di coraggio nell’anima.
La visione diviene sempre più nitida, la sua missione sarà quella di raccontarsi al mondo attraverso la rete. I social sarebbero diventati il suo palcoscenico. Sono passati oltre dieci anni da quella nevicata che inevitabilmente ha segnato una svolta nell’esistenza di questo ragazzo che ora è comodamente seduto di fronte a me su un divanetto di pelle. Su Tik Tok i followers sono oltre quattro milioni e trecentomila ed è cosi, giorno dopo giorno, che Riccardo è stato capace di costruirsi la vita che aveva sempre sognato. A lui piace comunicare amore attraverso le parole, i video o un capo d’abbigliamento, perché lui era stilista ancora prima di saperlo. È un insieme di tante cose Riccardo e lui vuole scoprirle tutte .Oggi Riccardo vola, poche settimane fa, era metà novembre, si è aggiudicato il primo posto ai Tik Tok Awards nella categoria “Voice for change. Creator dell’anno”. La community lo ha premiato perché lui il cambiamento lo indossa tutti i giorni senza fatica. Una serata magica quella della consegna degli Awards, un evento di quelli destinati a rimanergli per sempre impresso nella mente e soprattutto nel cuore. Riccardo che arriva al galà con un completo griffatissimo celeste, T-shirt nera sotto la giacca, sneakers bianche e deambulatore rosso, ci sono i riflettori, le tv, mille personaggi e poi alla fine quell’urlo liberatorio: «Ho vintoooo!» Il suo nome e le sue immagini sparate sui ledwall tra le mille luci di una serata trionfale. Mentre parliamo noto quanto ci tenga a mantenere sempre un basso profilo, Riccardo detesta le autocelebrazioni e conosce ormai bene i meccanismi della comunicazione fast, dove basta un nulla per rovinare la reputazione di una persona. Riccardo sa maneggiare le parole con cura, le usa rispettandole e mettendole in fila come fossero perle di una collana. Anche da questo punto di vista il suo insegnamento può risultare prezioso, all’interno di mondi tecnologici dove spesso parole più taglienti di una lama vengono scagliate addosso agli altri senza un briciolo di consapevolezza.
Quasi ogni giorno c’è chi, osservando la vita di Riccardo, si avventura in commenti velenosi e cattivi, perché l’odio nei confronti di chi raggiunge traguardi importanti è da sempre cieco e strisciante.
Invidiosi e haters non sono in grado di articolare un pensiero logico, non riescono a comprendere l’altro, non riescono a intuire la bellezza della vita e allora preferiscono rifugiarsi nella penombra del rancore rimanendo costantemente prigionieri della propria infelicità. Riccardo, per alcuni haters, deve le sue fortune alla disabilità, a quel deambulatore che lo sorregge, a quei due secondi in cui l’assenza di ossigeno gli causò una paralisi cerebrale. Sono gli effetti collaterali di un mondo in cui sempre più spesso si sparano giudizi feroci senza attivare il cervello, del resto la cattiveria esiste e prospera dove non trova spazio un pensiero, un ragionamento o il semplice desiderio di comprendere l’altro. «Criticate la mia disabilità? Prendetela, ve la regalo, facciamo a cambio, provate e poi ne riparliamo. Chi mi attacca su questo fronte non comprende che io sono la mia disabilità, io sono Riccardo, io racconto semplicemente ciò che sono, dentro e fuori. E cerco di farlo possibilmente con il sorriso, perché a volte un sorriso vale più di tante medicine. Ma non tutti hanno la mia forza, non tutti sono in grado di rimanere a galla mentre le parole crudeli ti afferrano i piedi tirandoti verso il fondo, e allora io lotto anche per chi non è capace di farlo, per chi non ha voce, ma in tutto questo non mi sento assolutamente un eroe. Tutt’altro. Sono semplicemente Riccardo, quello che si mostra per quello che è. Nulla di più». Nelle ore trascorse assieme sono tante le cose che mi hanno sorpreso, una riguarda il suo rapporto con lo smartphone. Quando si è a tavola e si parla, lui non è uno di quelli che ogni due secondi osserva il display senza un motivo preciso. Proprio no. Riccardo è capace di ascoltare e di guardare le persone negli occhi mentre si conversa. Lui non è al servizio della tecnologia, è la tecnologia ad essere al suo servizio. La trovo una forma interessante di libertà personale e anche di rispetto nei confronti degli altri esseri umani, in tempi in cui la dipendenza tecnologica costituisce un problema enorme. Ci salutiamo verso le quattro del pomeriggio, ci sarebbero ancora molte cose da dire ma non importa, ci sarà tempo e modo per continuare a raccontare la storia di questo ragazzo che è stato capace di prendere la sua vita per mano e condurla dove meglio credeva.
Essere padroni del proprio destino, guardare avanti, cercare la luce anche nei momenti più bui continuando sempre a sognare.
#Cuoriconnessi ha bisogno di raccontare storie come la sua e siamo felici di essere riusciti ad inserirla all’interno di questo volume quando eravamo a ridosso della stampa. Durante il pranzo avevo detto a Riccardo che la sua sarebbe stata l’ottava storia del libro. Il suo volto si era subito illuminato: «L’ottava storia? Che meraviglia, è il numero dell’infinito!» Ecco. Il suo tocco magico arriva ovunque. C’è nebbia, sono sulla strada del ritorno e riesco solo a intuire la campagna piatta del Polesine avvolta da un mondo in bianco e nero. Mentre guido c’è un pensiero che prende forma e a pensarci bene è molto importante. Riccardo in tutti i nostri incontri non mi ha parlato di tutto ciò che non può fare, di tutte le barriere visibili e invisibili che la sua patologia ogni giorno gli mette di fronte. Mai neppure l’ombra di un lamento. E ne avrebbe di cose da raccontare, invece no. Riccardo mi ha sempre parlato di quello che ha fatto e di ciò che potrà fare. Lui è sempre concentrato sulla soluzione e mai sul problema. È forte Riccardo Aldighieri, per i social Riccardo Aldi. Quello che da bambino amava Crudelia De Mon e che scoprì il suo talento spingendo un deambulatore in mezzo alla neve.
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