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Salvatore Accardo a Ines e Irene

08/06/2022 By carlaita

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Mie care gemelline Ines e Irene,

auguro anche a voi di crescere con la musica, felicemente come il vostro papà. La musica è fondamentale per ogni essere umano e non si può vivere senza: un filosofo tedesco, Friedrich Nietzsche, si spinse fino a scrivere che l’esistenza, privata della musica, sarebbe un errore. È un linguaggio dell’anima che arriva dritto al cuore delle persone e ci circonda in ogni luogo e in ogni tempo.

Già da piccolissime avete trascorso ore serene sulle note di Mozart e di Ciaikovskij. Quando avete compiuto tre anni, su vostra richiesta, io e la mamma vi abbiamo fatto trovare sotto l’albero di Natale due violini per bambini. A me non importa se non vorrete diventare delle musiciste professioniste. Quello che desidero è che la vostra educazione musicale sia seria, cosa che nel nostro Paese è difficile da attuarsi. Anche mio padre Vincenzo, incisore di cammei a Torre del Greco con la passione dell’opera, nel lontano 1944, quando avevo tre anni, mi donò un violino per bambini che acquistò con grandi sacrifici. La mamma ne fu assai contrariata: «Ma quanto l’hai pagato?», gli chiese, e lui: «Mah, poco, mille lire». «Mille lire? Ma tu sei pazzo». Perché mille lire, a quei tempi, con la guerra e la povertà, erano un bel po’ di soldi. Ma con quel violino, con la musica, il mio sogno era divenuto realtà e il mio destino tracciato.
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Ricordo che allora d’istinto suonai la malinconica colonna sonora dell’epoca, quella della canzone “Lili Marleen”, e mamma Ines pensò che la radio fosse accesa.

Tutti furono meravigliati dalla mia capacità di ripetere sul piccolo strumento le melodie che ascoltavamo in casa. Dopo aver imparato a leggere la musica grazie a un amico di famiglia, che suonava la fisarmonica e il violino ai matrimoni, venni affidato agli insegnamenti privati di Luigi D’Ambrosio e a 11 anni fui ammesso al Conservatorio di Napoli, dove mi diplomai nel 1956. Questo per dirvi quanto la musica, la famiglia e un bravo insegnante sono stati fondamentali per la mia vita. Come potrebbero esserlo per la vostra.

Il talento per la musica è la premessa, ed è uno straordinario regalo che può essere sciupato da un cattivo insegnante, da una famiglia inadeguata o da uno Stato che non fa la sua parte.

Il professor D’Ambrosio è stato molto bravo a proteggere il mio. A chi lo rimproverava per l’eccessiva durezza nei miei confronti rispondeva: non vi preoccupate, questo ragazzo ha il vulcano dentro. Più tardi, capii che era stato severo con me e più indulgente con allievi meno dotati perché da me sapeva di poter pretendere di più. Spero di poter essere anch’io così con i miei giovani studenti. Per questo non smetterò mai di sostenere le iniziative che incoraggiano l’esperienza della musica fra i più piccoli. È importante che nel nostro Paese si ricostruisca una educazione musicale di base. Perché purtroppo sembra che da noi attualmente si diventi appassionati di musica solo per folgorazione divina, per tradizione familiare o perché un amico un giorno ti porta a un concerto. Mai per educazione.

Il sogno della mia vita è che i giovani possano scegliere che musica ascoltare. Dopo averla conosciuta tutta però: Mozart e Beethoven compresi.

Alle mie figlie voglio dare la possibilità di scegliere quale musica amare. Aveva ragione Leonard Bernstein quando affermava che non importa che la musica sia classica, jazz o rock, l’importante è che sia bella. Un universo da esplorare interamente, senza limitarsi a qualche pianeta.

La musica è anche dialogo. Per questo consiglio a tutti gli studenti di suonarne molta da camera: così imparano che la libertà di uno strumentista deve tener conto di quella dell’altro. E per questo non amo molto il direttore-dittatore. Chi va sul podio è un musicista che ha come strumento l’orchestra. Musicista fra musicisti, insomma. «L’importante è suonare insieme», come sosteneva Carlo Maria Giulini, che quando doveva provare diceva: «Vado a fare musica con l’orchestra». Un dialogo a tutto tondo, anche con le partiture dei grandi capolavori musicali. Infatti un’esecuzione non sarà mai sempre la stessa, ma nel corso della nostra vita di interpreti evolverà, muterà, si approfondirà. Questo deve avvenire, però, rispettando al massimo l’autore della partitura. Perché il talento e la tecnica da soli non bastano. Un esecutore deve sapersi mettere al servizio della composizione avendo l’umiltà di non sentirsi mai il protagonista assoluto della musica e di non smettere mai né di studiare né di apprendere, tanto dai propri maestri che dai propri allievi. Il momento in cui un musicista pensa che ormai ha raggiunto il massimo è meglio che smetta, perché vuol dire che non ha più niente da dire.

Vorrei citare il grande violinista David Oistrakh, che ebbi la fortuna di frequentare.

Secondo lui la tecnica bisogna possederla per poterla dimenticare. Ai giovani che vorrebbero imporre la loro personalità su quella dell’autore consiglio: tieni conto di quello che è scritto e raggiungerai l’esito interpretativo più ragguardevole. Se Brahms ha segnato sulla partitura di suonare “forte”, non puoi eseguire “piano”: falseresti l’architettura, la struttura dell’opera d’arte, l’essenza del suo messaggio. Questo rispetto del testo è tanto insito nella mia educazione e nella mia coscienza che una volta, suonando il Concerto per violino e orchestra di Beethoven con Giulini, un artista per il quale il testo del compositore era Vangelo, ebbi addirittura una visione: al posto del grande direttore, al mio fianco sul podio, mi parve di vedere l’autore stesso.

Un amore e rispettoso dialogo che ho pure nei confronti dei miei preziosi violini. Considero che non ne siamo i proprietari definitivi, ne siamo i depositari per un certo periodo e dobbiamo fare in modo che suoneranno come sanno anche quando noi non ci saremo più. Dovranno arrivare nelle mani di altri violinisti nelle stesse condizioni in cui li abbiamo ricevuti noi. Sono strumenti sensibili, con una loro personalità: il legno con il quale sono costruiti vive, come la vernice che li ricopre, condizionando il suono.

Per fortuna, nella crisi imperante nuovi orizzonti per l’educazione musicale arrivano da lontano. Dal Venezuela. Apprezzo molto “el Sistema” di José Antonio Abreu, un metodo per la promozione sociale dell’infanzia e della gioventù attraverso un percorso innovativo di didattica musicale. Questo raffinato intellettuale ha infatti messo a punto un paradigma educativo e dal 1975 con il suo lavoro ha salvato migliaia di bambini e ragazzi dalla strada e da tutte le sue brutture. Alla base del sistema c’è il principio per cui ogni bambino fin da piccolo inizia a studiare uno strumento. Non importa quale, quello che conta è che la musica entri a far parte integrante dell’istruzione di base. Tutti crescono con la musica e formano delle orchestre, e da queste sono venuti fuori fior di musicisti. Ora l’abbiamo importato in Italia. Ogni nazione, ogni Stato è diverso e non si può copiare pari pari quello che fa un altro paese, bisogna adattarlo. Ma ciò che la nostra classe dirigente dovrebbe capire è che la musica è importante dal punto di vista sociale perché arricchisce chiunque l’avvicini. Ed è anche terapeutica: Mozart e Vivaldi in alcuni casi sono quasi miracolosi, quando vengono impiegati per curare chi è affetto dalla sindrome di Down o da autismo.

Concludo la mia lettera, care gemelline, con un invito alla speranza.

Non dovete farvi condizionare dal momento buio che stiamo attraversando. Se non chiudiamo gli occhi, se rimaniamo svegli e ci diamo da fare ognuno con le armi che ha a disposizione, sono sicuro che ci lasceremo questa notte alle spalle. Dovremo fare in modo che si creino le condizioni per una rinascita culturale. Noi insegnanti e artisti ce la mettiamo tutta e secondo me bisogna lavorare proprio sui più giovani, per fare in modo che apprendano. Che cambino questo percorso di crisi solo all’apparenza ineluttabile.

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pubblicata su l’Espresso in data 8 gennaio 2014 – fair use

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Sai quel luogo che sta fra il sogno e la veglia, d Sai quel luogo che sta fra il sogno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando? Quello è il luogo dove io ti amerò per sempre, Peter Pan. È lì che ti aspetterò. 
James Matthew Barrie
dipinto Spirit of the night, John Atkinson Grimshaw , 1879
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C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquat C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
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Parigi, 25 gennaio 1920: Jeanne Hébuterne, compag Parigi, 25 gennaio 1920: Jeanne Hébuterne, compagna di Amedeo Modigliani, si lancia dalla finestra e muore. E' al nono mese di gravidanza. Il suo epitaffio recita: Devota compagna sino all’estremo sacrificio.
[ Sapete che cos’è l’amore, quello vero? Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all’inferno per l’eternità? Io l’ho fatto…]
“Paulette Jourdain, che era allora una bambina, si ricorda che la notte in cui Modigliani morì all’ospedale, Zborowski non volle che Jeanne dormisse nello studio della Grande Chaumière. Paulette l’accompagnò in un piccolo albergo della rue de Seme. L’indomani Jeanne andò all’ospedale per rivedere Amedeo. Il padre, silenzioso e ostile, l’accompagnò. Rimase sulla soglia, racconta il dottor Barrieu, mentre Jeanne si avvicinava al cadavere. “Non lo baciò” scrive Stanislas Fumet, amico d’infanzia, con la moglie Aniuta, di Jeanne “ma lo guardò a lungo, senza dir nulla, come se i suoi occhi si appagassero della sua disgrazia. Si ritirò camminando a ritroso, fino alla porta. Conservava il ricordo del viso del morto e si sforzava di non vedere nient’altro”. L’indomani, all’alba, Jeanne Hébuterne si gettò dal quinto piano. “Sembrava un angiolo” disse Foujita, che non rifugge dalla cattiva letteratura. Chantal Quenneville scrive: “Jeannette Hébuterne si era rifugiata dai suoi genitori, cattolici offesi della sua unione con l’ebreo Modigliani, e non diceva una parola. Erano trascorsi due o tre giorni quando domandai ad Andre Delhay: ‘E Jeannette?’. Mi guardò male. Si era gettata, la mattina, dalla finestra del quinto piano della casa dei suoi genitori.”
dai ricordi della figlia di Jeanne e Modì, Jeanne Modigliani
dipinto: ritratto di Jeanne Hébuterne 1919
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Chandra Livia Candiani #chandraliviacandiani #poes Chandra Livia Candiani
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Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inc Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Trovare la tua strada. Andare per la tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada? Sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto.
Alessandro Baricco
foto Ann Skuld
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FLORBELA ESPANCA di Paola Deplano Sono figlia dell FLORBELA ESPANCA di Paola Deplano
Sono figlia dell'amore, o piuttosto dello scandalo.
Mio padre era sposato con una donna, ma ha fatto i figli con un'altra. Due, per la precisione. Me e mio fratello. Questo, alle soglie del 1900.
Sin da piccola, ho creato poesie, prima ancora di scriverle.
Ricordo lunghi pomeriggi passati sotto il tavolo, a canticchiare nenie interminabili.
Dicono che fossi intelligente. Può darsi, visto che sono stata una delle prime donne laureate del Portogallo.
Questa presunta intelligenza, però, invece di facilitarmi la vita, me l'ha resa più complicata. Ciò che per chiunque era scontato, per me diventava impossibile, perchè analizzavo i pro, i contro, le conseguenze e le catastrofi di qualsiasi decisione, persino la più semplice.
Dicono che fossi bella, anche se io mi sono vista sempre brutta. Agli uomini piaceva il mio sorriso. Dicevano tutti così, sembrava si fossero parlati l'un l'altro. E se hanno detto tutti la stessa cosa, doveva essere vera. Per forza.
Mi sono sposata tre volte, tre volte ho divorziato e, non mi vergogno a dirlo, ho avuto anche altri uomini.
Ci amavamo, all'inizio. Poi succedeva qualcosa, qualcosa di sempre diverso, e finiva lì.
Chi dice che si può amare la stessa persona tutta la vita mi fa rabbia, perché sta mentendo, sapendo di mentire.
Sono rimasta incinta molte volte, ma non ho mai stretto un bimbo al seno. Sognavo, vomitando nel bagno. Sognavo una bambina, da riempire di baci e nastri rossi tra i capelli scuri.
Purtroppo, tutte le volte, finiva così: un mare di sangue e l'addio inevitabile.
Poi un giorno è morto  anche mio fratello.
A quel punto c'era rimasta solo la poesia.
Evidentemente, troppo poco per vivere.
L'8 dicembre, il giorno del mio trentaseiesimo compleanno, ho preso le pillole per dormire. Tutto il flacone.
illustrazione collage con sovrapposizioni digitali @dina_atelier_d 
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foto: Vincenzo Ferdinandi, Elsa Martinelli con un foto:  Vincenzo Ferdinandi, Elsa Martinelli con un tailleur della linea Sfinge, 1955 
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Sono più le cose che ci spaventano di quelle che Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà.
Seneca
foto Laura Makabresku
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opera: Gianfranco Baruchello, Lo stato attuale del opera: Gianfranco Baruchello, Lo stato attuale delle cose, 1974 … https://cctm.website/gianfranco-baruchello-italia
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Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce Due modi ci sono per non soffrire.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’ inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino 
[da “Le città invisibili”]
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