collettivo culturale tuttomondo Marina Cvetaeva (Russia)
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Il figlio inizia in noi ben prima del suo inizio.
Ci sono gravidanze che durano anni di speranza, eternità di disperazione.
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Marina Cvetaeva
frammento da Lettera all’amazzone, Guanda, 1981
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immagine: fotogramma dal film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubric
Una lunga lettera indirizzata alla poetessa Natalie Clifford Barney, scritta in risposta alle emozioni e riflessioni suscitate dalla lettura — avvenuta nell’estate del 1932 – di “Pensées d’une Amàzone” e concepita come un vero e-proprio manifesto sull’amore al femminile.
Marina Cvetaeva ci offre uno dei più controversi e poetici scritti sul lesbismo: la profondità dell’amore fra donne, l’impossibilità di avere figli, le inquietudini, le derive e il dolore di due donne che si amano. E poi l’invidia, il riflesso reciproco, le contraddizioni, le ambivalenze… Con la sua prosa, sempre acuminata e mossa da immagini rapide, in continua immersione ed emersione dal suo universo poetico, la Cvetaeva descrive in questo libro le impasse a cui si trovano di fronte due donne quando decidono di vivere fino in fondo il loro amore e la loro sessualità.
Marina Ivanovna Cvetaeva (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941) è stata una poetessa e scrittrice russa.
Nata a Mosca, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev, professore di Belle Arti all’Università di Mosca, e Marija Aleksandrovna Mejn, eccellente pianista, fu tra le migliori allieve di Nikolaj Rubinštejn. Marina Cvetaeva scrisse le prime composizioni all’età di 6 anni esprimendosi, oltre che in russo, anche in francese e tedesco. Diventò una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo e l’esponente di maggior spicco del locale movimento simbolista. Il suo lavoro non fu ben visto dal regime staliniano, anche per via di opere scritte negli anni venti che glorificavano la lotta anticomunista dell’armata bianca, in cui il marito Sergej Jakovlevič Ėfron militava come ufficiale; emigrò prima a Berlino e poi a Praga nel 1922.
Seguendo gli orientamenti della comunità russa emigrata, si trasferì a Parigi nel novembre 1925. Tornò a Mosca insieme al figlio Georgij, detto Mur, nel 1939, con la speranza di ricongiungersi al marito, di cui si erano perse le tracce e che in realtà non era fuggito in Spagna, ma era stato arrestato e fucilato dall’NKVD, e alla figlia Ariadna Ėfron, tornata a Mosca nel 1937 e subito mandata in un campo di lavoro.
In uno stato di estrema povertà e di isolamento dalla comunità letteraria, il 31 agosto 1941 s’impiccò nell’ingresso dell’izba che aveva affittato da due pensionati nel villaggio di Elabuga, sulle rive del fiume Kama.
La riabilitazione della sua opera letteraria e la pubblicazione di molte sue opere avvennero solo a partire dagli anni sessanta, vent’anni dopo la sua morte. (fonte Wikipedia)