collettivo culturale tuttomondo lettere dalle case chiuse
Gentile signora
Già da lungo avrei voluto scrivervi egregia signora, ma ho sempre rimandato, speravo venire a Roma e parlarvi personalmente, ma ora non posso più attendere, quindici giorni trascorsi a B. sono stati cosi tormentosi dissolvermi credo dieci lunghi anni di fango, e oggi a mani giunte signora vi prego lottate, lottate per il vostro progetto, salvateci.
Nell’autunno dello scorso anno lessi sull’Avanti! il vostro discorso. Lo lessi con interesse, rilessi con commozione i punti più patetici, più umani, poi misi a parte il giornale e ancora lo conservo. Giorni fà qui a B. mi capitò tra le mani un opuscolo ove era scritto il vostro famoso di scorso questa volta lo lessi con avidità, mi sembrò portasse pace al mio animo in tempesta e questo vostro di ]scorso l’ho letto tante volte che potrei ripeterlo a memoria.
Quanta verità nelle vostre parole signora.
Propaganda dicono le megere. Non è vero. Verità sacrosanta, anzi è ancora poco quello che avete detto, è peggio dovete credermi.
Qui a B. le case chiudono alle due di notte, un giorno si e l’altro no si fa il turno di mattina quindi verrebbe un orario lavorativo dalle 9 alle 13, dalle 14 alle 19, dalle 20 alle due, sarebbero 15 ore di lavoro estenuante sotto la luce accecante del neon, stordite dalla voce rauca della megera se non ci diamo da fare, prive di aria perché le finestre sono ermeticamente chiuse dato che sporgono nel centro. La strada è via […], e se si sposta un po’ la tenda, le megere inveiscono contro di noi come furie.
La mattina poi che siamo libere che si potrebbe uscire per goderci un’ora di sole, bisogna invece poltrire in letto perché uscire sole è vietato, ordine del questore. Oppure uscire con la megera, ma tutte queste tenutarie sono conosciute, alcune portano sulla fronte scritto il marchio del loro turpe mestiere ed allora si rinuncia all’ora di sole. E poi anche accontentandosi di uscire accompagnate non vogliono uscire a piedi, oppure non vogliono accompagnarci per i negozi ove si deve fare le commissioni e bisogna rinunciare e stare a casa, farsi fare le spese dal cameriere, cosi se un oggetto costa 100 si paga 300, si perde la salute, il brio, tutto. Il questore vieta a noi l’uscita perché dice che teme si dia scandalo, e permette che i tenutari nei caffè parlino ad alta voce dei loro loschi incassi, del loro turpe mestiere, questa non è moralità vero?
E in tutte le città c’è una magagna, o proibiscono le uscite. In altre città i dottori neppure visitano quindi non si è sicure della nostra salute. In altre bisogna dare 10.000 lire al segretario per avere il posto. In altre ancora, ogni 15 giorni ricorre compleanni e onomastici delle proprietarie, esigono quindi regali e cosi si tira avanti e credetemi egregia signora anche modificando le leggi a nostro riguardo come dicono gli antiabolizionisti andrà sempre a vantaggio dei tenutari e noi si sarà sempre le vittime. La […] chiude gli occhi perché con qualche bigliettone gli […] arrotondano il magro stipendio.
Ed allora signora lottate, lottate perché questo triste mercato cessi, chiudete chiudete queste tombe dei vivi.
Dio vi benedirà.
Una delle tante
16/03/1950
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immagine: copertina del libro Lettere dalle case chiuse, Edizioni Avanti! , Collana del Gallo 1955
Rileggendo le molte lettere, la maggior parte non anonime, che ricevette Lina Merlin “dalle case chiuse” si spalanca una porta sulla realtà di miseria e di desolazione morale dell’Italia del dopoguerra che coinvolgeva alcune migliaia di donne e i loro figli in una sorta di ghetto sociale da cui era assai arduo uscire. Le lettere di consenso che riceve Lina Merlin offrono, in un lessico semplice e con drammatica chiarezza, argomenti assai convincenti. In questi scritti affiora non solo la volontà di non essere più oggetto di sfruttamento nei postriboli controllati dallo Stato, ma soprattutto la speranza di ritrovare una vita normale mettendosi alle spalle tutte le ignobili vessazioni burocratiche e le regole discriminatorie che impedivano l’esercizio dei più elementari diritti civili come il lavoro o il matrimonio con pubblici dipendenti.
Ma le curatrici del libro hanno pubblicato anche lettere contrarie alla soppressione delle “case chiuse”.
A parte quelle offensive o inutilmente polemiche contro la “moralista” Merlin, ve ne sono alcune che pongono questioni tutt’oggi aperte. Alcune donne rivendicano il diritto di svolgere la loro attività come una professione, altre esprimono forte preoccupazione sulle conseguenze dell’approvazione della legge in discussione e non credono che le cose possano cambiare, anzi temono un peggioramento delle loro condizioni. Queste ultime lettere oggi devono far riflettere. La Senatrice socialista, che fin da giovane fu a fianco di Giacomo Matteotti nella lotta antifascista, subì il confino, partecipò alla Resistenza e fu eletta all’Assemblea Costituente formulando l’articolo della Costituzione che garantì la parità tra uomo e donna. Con la sua proposta di legge, non si illudeva di abolire la prostituzione, ma voleva abolirne lo sfruttamento, a maggior ragione da parte dello Stato. Dal 1958 tutti i governi, di qualunque colore fossero, i Parlamenti e le forze politiche, hanno sempre assunto la linea della tacita tolleranza dello sfruttamento della prostituzione.
A quasi sessant’anni dall’entrata in vigore della legge, si può affermare che l’eredità del lavoro di Lina Merlin sia stata tradita. Le barriere burocratiche che imprigionavano le abitanti delle “case chiuse” sono state abbattute ma la lotta allo sfruttamento della prostituzione oggettivamente segna il passo. Naturalmente non stiamo parlando di chi sceglie liberamente di prostituirsi. Il fenomeno del lenocinio organizzato ha cambiato aspetto, ma la realtà è spesso di gran lunga peggiore del passato. Qualche sindaco ha pensato di porre rimedio attraverso sanzioni a carico dei “clienti”. Da sola questa misura toglierebbe le persone dalla strada ma non eliminerebbe lo sfruttamento. Al di là degli aspetti culturali e ambientali serve qualcosa che produca un impatto concreto nel perseguire tutti coloro che traggono illeciti benefici dal mercato del sesso. Ma questa è una decisione politica che richiederebbe l’impiego di risorse ed energie da parte delle istituzioni, se questo obiettivo è considerato una vera priorità. Sarebbe significativo che, a partire dalle associazioni impegnate sul fronte femminile che rivendicano la centralità della questione femminile o di “genere”, si avviasse un confronto per giungere a proposte concrete. Significherebbe raccogliere il testimone di Lina Merlin per dare continuità al suo impegno politico e civile.
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Walter Galbusera Presidente della fondazione Anna Kuliscioff – introduzione al reprint del volume edito dalle Edizioni Avanti! – Collana del Gallo 1955 – copertina Albe Steiner
lettere dalle case chiuse