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Frida Kahlo e Olga Campos

09/06/2020 By carlaita

centro cultural tina modotti Frida Kahlo e Olga Campos

Il mio ricordo di Frida di Olga Campos

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Ho incontrato Frida Kahlo per la prima volta l’8 Dicembre del 1947 in occasione della festa di compleanno di suo marito.

Ricordo i dettagli di quel giorno come fosse ieri, nonostante siano passati quarantaquattro anni. Ero andata ad una corrida con Jaime Barrios, un amico rifugiato del Guatemala. Mi chiese se più tardi volessi andare a casa di Diego Rivera; c’era una open house a Coyoacàn. Risposi immediatamente di sì. Avevo una gran voglia di conoscere il rinomato artista e sua moglie, la famosa pittrice Frida Kahlo. La loro arte, le loro idee politiche, la loro posizione nel milieu culturale messicano e le scandalose dichiarazione di Diego Rivera sul fatto che avesse mangiato carne umana e l’avesse trovata gustosa, li aveva resi leggendari.

Sembrava che il mondo intero parlasse di loro.

Guidammo verso sud e quando svoltammo a sinistra nel Viveros de Coyocan, incontrammo Lupe Rivera, sorella di Diego, che fu mia compagna di classe durante il liceo. Come noi, stava andando alla festa, così ci avviammo insieme verso la casa. Parcheggiammo dall’altro lato della strada, tentando di oltrepassare con difficoltà la barriera umana che si era creata per arrivare davanti la casa. I miei occhi erano abbagliati dallo spettacolo. Diego e Frida erano seduti come re e regina su delle equipales, sedie tradizionali in legno e cuoio, incorniciati dalla porta d’ingresso aperta. Intorno a loro vi era un gruppo di amici e di fronte ballavano i concheros, ballerini vestiti con abiti da cerimonia, ricoperti di conchiglie e indossavano grandi copricapi decorati con coloratissime piume. Si muovevano ritmicamente avanti e indietro sul suono di flauti e tamburi, offrendo omaggio a Diego che rispondeva con sorriso paterno.

Frida era bella, chiacchierava con Diego.

La sua testa, come quelle delle regine, era coronata da un nastro e da fiori che si intrecciavano con i suoi capelli raccolti. Indossava grandi orecchini dorati e una mantella di velluto decorato le copriva le spalle. Quella stessa mantella si trova oggi nel museo che era un tempo la casa dei Rivera. Il suono della musica e dei tamburi e il battito degli zapateado riempivano l’atmosfera. La fine della cerimonia fu piena di applausi e i Rivera si alzarono ad abbracciare i ballerini. La folla sulla strada cominciò a disperdersi e Diego e Frida, tenendosi per mano, si dirigevano verso l’uscita, seguiti dai ballerini e dagli altri ospiti. Era diventato buio e la via della casa era illuminata da lanterne colorate, la festa si trasferì all’esterno. Vicino la piramide c’era un tavolo decorato dove venivano serviti drink di frutta fresca, caffè e tequila. Su altri due tavoli si potevano trovare vassoi di tacos, enchiladas e tamales preparati da cuochi che indossavano abiti regionali.

Diego e Frida erano seduti sulle loro equipales sotto un albero, dove gli amici avevano formato una fila intorno a loro. Quando arrivò il nostro turno, ci accolsero calorosamente. Vicino a Frida era seduta la pittrice Alice Rahon e accanto a lei, Amelia Abascal, una giovane rifugiata spagnola che avevo conosciuto in precedenza. Mi sentii immediatamente più a mio agio, come se avessi avuto un maggior diritto a partecipare alla festa. Restai vicino ai Rivera e chiacchierai con Amelia che mi disse che lavorava come assistente di Frida. Gradualmente la gente cominciò ad andarsene e rimasero una ventina di persone.

Una donna cominciò a suonare, era Concha Michel, una cara amica dei Rivera.

Cantava vecchie canzoni messicane e qualche ballata della rivoluzione, le conosceva tutte e Frida cantò insieme a lei. Il momento di andarsene arrivò fin troppo presto, Amelia prese il mio numero di telefono e Frida mi invitò a tornare. Le promisi che l’avrei fatto, poi la baciai sul collo che mi porse. Per la prima volta notai la bontà del suo profumo: Sciapparelli. Forse lo portavano anche altre donne che conoscevo ma su di lei profumava in modo diverso.

In quel periodo studiavo psicologia all’università e lavoravo all’ospedale psichiatrico di Città del Messico. Un giorno, finito di lavorare, decisi di andare a trovare Frida e Amelia anche se mi sentivo un po’ a disagio dato che non avevo ricevuto un invito formale. Pensai a come approcciare Frida e decisi di mostrarle i disegni dei miei pazienti. Quando arrivai, suonai il campanello, mi presentai e chiesi di Amelia. Amelia e Frida stavano prendendo il sole nel patio e mi invitarono a raggiungerle. Frida indossava una lunga gonna di cotone con le frange e disegni di colori scintillanti ed una camicetta. Aveva il rossetto, i capelli con la riga in mezzo e raccolti con un nastro. Si ricordava di me, sorrise e mi porse il suo collo per baciarlo e ancora una volta sentii il suo buon profumo. Sembrava contenta che avessi mantenuto la mia promessa e mi fece molte domande su di me e sul mio lavoro. Quando le mostrai i disegni mi sembrò davvero interessata.

Mi sentii lusingata e felice.

In casa di Rivera incontrai spesso il poeta Carlos Pellicer; Guadalupe Marin, ex moglie di Diego con la quale Frida aveva una certa complicità; il fotografo Juan Guzman; l’amico d’infanzia Jesus Rios y Valles, la scrittrice Anita Brenner; l’autore Josè Revueltas e sua sorella, l’attrice Rosaura; la poetessa Pita Amor; i produttori cinematografici Lina e Arcady Boytler, la fotografa Lola Alvarez Bravo. Il poeta Salvado Novo; l’attrice Paulette Goddard; il filosofo Antonio Gomez Robledo; la pittrice di murales Aurora Reyes, il direttore d’orchestra Carlos Chàvez e ancora molti altri. Frida trattava tutti allo stesso modo, indipendentemente dal loro status economico e intellettuale, dalla loro celebrità o dalla loro bellezza.

Cristina era il braccio destro di Frida. Bassina, in carne, carina e un po’ civetta, con dei grandi occhi verde‐ blu, lavorava in modo diligente e sembrava sempre di ottimo umore. Ogni mattina arrivava a casa di Frida pronta a fare qualsiasi cosa ci fosse da fare. Aiutava Frida a vestirsi, pettinarsi e truccarsi. Frida e Cristina erano sorelle straordinariamente diverse. D’altra parte si completavano a vicenda e condividevano i loro segreti, i loro dolori e loro gioie. Cristina veniva chiamata “ La Chaparrita”( la nanerottola) ed era considerata la sorella più frivola mentre Frida era considerata la persona brillante della famiglia. Cristina era goffa, Frida delicata; una era la buona salute in persona, l’altra fu un’invalida per buona parte della sua vita.

Un altro confidente di Frida era Chucho, lei lo chiamava “Nano Chucho” e lui “Nina Frida” o “Senora”. Era un uomo forte, da ragazzo praticava la boxe. Si assicurava sempre che i desideri della “Nina” venissero realizzati. Quando Frida non riusciva a camminare, lui la portava proprio come una bambina, in bagno oppure in giardino, o fino alla sua sedia a rotelle. Nei pomeriggi le andava a comprare il gelato al cocco nella piazza di Coyocàn. Si occupava anche di trovarle il Demerol di cui Frida era dipendente a causa dei suoi dolori cronici.

Quando la casa di Frida diventò un museo, Chucho era ancora lì ad occuparsene, viveva lì con la sua famiglia, nella stessa stanza che aveva sempre occupato. Un giorno sparì e da quel momento non si seppe più nulla di lui. Per quanto ne sapessi, a quel tempo Frida non aveva relazioni sessuali con nessuno. Non parlava mai seriamente delle sue cose intime, della sua malattia o della sua pittura, le considerava cose di poche importanza.

Ma sapevo che aveva un amore segreto che adorava.

Non sapevo se fosse sempre stato platonico, ma aveva una continua corrispondenza con un rifugiato spagnolo che viveva negli Stati Uniti. Lei leggeva le lettere che arrivavano, sorrideva e baciava i fogli ma non le leggeva mai ad alta voce. Penso che le distruggesse subito dopo. Rispondeva immediatamente e mi chiedeva di imbucarle subito.

Era ampiamente risaputo che Frida avesse un’intensa vita sessuale. Era sicuramente una persona sensuale come emerge anche dai suoi i dipinti. Frida era spesso contornata più da donne che da uomini, l’omosessualità in casa Rivera era vista come qualcosa di naturale. Veniva considerata la persona e non il suo orientamento sessuale. Ad ogni modo con me non ha mai flirtato ma mi ha sempre dimostrato un grande affetto.

Per un lungo periodo Frida soffrì di cancrena al piede sinistro, dopo l’amputazione i dolori erano insopportabili.

Frida ed io passammo molto tempo insieme durante il periodo di malattia. Mi chiedeva di farle la spesa e le portavo spesso i dolci messicani. Quando si sentiva meglio le compravo delle bambole con cui lei giocava. Era come se si trasformasse in una bambina e subito dopo voleva cambiare la disposizione dell’intera casa. Non ho mai dubitato dell’affetto genuino che aveva nei miei confronti, anche se può darsi che a volte mi avesse manipolata ed usata, come faceva con molti altri. Anche se l’avesse effettivamente fatto, non me ne importa.

Mi ha aperto un mondo di bellezza, forza e amore per la natura e per le persone. L’aspetto infantile della personalità di Frida mi faceva tenerezza. I giochi che faceva erano un modo per distrarsi dalla realtà e dalle sue sofferenze. Ad ogni modo, non ha vissuto la sua vita tentando di evitare la realtà, al contrario era molto seria e combatteva costantemente con i problemi domestici, coniugali, di salute, con le difficoltà che aveva nel dipingere o con la sua situazione economica instabile.

Una delle cose che Frida amava di più era uscire a fare dei giri in macchina.

Io ne avevo una e quando lei si sentiva bene andavamo in diverse zone della città. Altre volte, quando si sentiva particolarmente bene andavamo a fare dei pic‐nic . Il viso, il corpo e l’abbigliamento di Frida sono diventati famosi grazie agli autoritratti e alle fotografie. Poteva non avere una bella faccia ma aveva una strana e allettante bellezza. I suoi occhi erano grandi e profondi. Le sue sopracciglia avevano la forma delle ali di un uccello in volo, aveva un naso piccolo e le sue labbra erano sensuali. Aveva un talento naturale per il trucco. Il suo rossetto e il suo smalto erano sempre di colori forti. Era sempre ben vestita e ben truccata anche se non aspettava ospiti. Di solito portava la riga in mezzo e raccoglieva i suoi capelli con dei nastri. Sapeva trasformare se stessa in una donna sensuale, irresistibile e unica.

Indossava molti gioielli, portava sempre anelli e orecchini in argento. I suoi vestiti erano sempre solari, e quando faceva fresco si copriva con delle mantelline. Per le occasioni speciali vestiva abiti di lusso, fantastiche gonne e huipil. Tempo dopo mi trasferii ad Acapulco ma rimasi sempre in stretto contatto telefonico con Frida. Nel 1954 la chiamai per farle gli auguri di compleanno, mi sembrò stanca, le dissi che sarei andata presto a Città del Messico a trovarla, mi rispose che mi aspettava e mi chiese di portarle delle conchiglie per sentire il rumore del mare.

Quella fu l’ultima volta che sentii la sua voce.

Arrivai a Città del Messico il 12 di luglio e il giorno successivo chiamai a casa e mia madre mi disse “vai a Coyoacàn, hanno appena telefonato per comunicare che Frida è morta”. Scossa dalla notizia mi avviai subito, fuori c’erano molto macchine parcheggiate. Quando entrai, incontrai Diego che mi disse di seguirlo e mi accompagnò in una stanza. Lì, nel suo letto, giaceva Frida, vestita, truccata e pettinata come sempre, indossava il huipil. Sembrava addormentata. Senza pensarci, andai a baciarle il collo, la baciai più volte. Urlai “è viva! È viva!” presa da un momento di isteria, mi portarono in cucina dove presi un tranquillante. Non ho partecipato alla sua cremazione, non potevo credere che Frida fosse morta.

Anche se sono passati molti anni dalla sua morte, penso spesso a lei, al suo coraggio, ma soprattutto al suo modo speciale di godere delle bellezza e della vita.
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Olga Campos

Psicologa e amica di Frida Kahlo. Il testo qui tradotto, My memory of Frida, si trova all’interno del volume Song of Herself, a cura di Salomon Grimber

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foto : Frida Kahlo e Olga Campos

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L'amore a mano aperta Io non ti do il mio amore c L'amore a mano aperta

Io non ti do il mio amore come fanno
le altre donne, in uno scrigno freddo
d'argento e perle, né ricco di gemme
rosse e turchesi, chiuso, senza chiave;
né in un nodo, e nemmeno in un anello
lavorato alla moda, con la scritta
"semper fidelis", dove si nasconde
un'insidia che ottenebra il cervello.
L'Amore a mano aperta, questo solo,
senza diademi, chiaro, inoffensivo:
come se ti portassi in un cappello
primule smosse, o mele nella gonna,
e ti chiamassi al modo dei bambini:
- Guarda che cos'ho qui! – Tutto per te -.

Edna St. Vincent Millay

Illustrazione Liliana Comes
Etimologia di amore. dal latino: [amare]. Un'etim Etimologia di amore. 
dal latino: [amare]. Un'etimologia falsa ma
estremamente poetica vuole che derivi dal latino [a-mors], senza morte.
Parola arcinota, pronunciata tanto spesso come capita a poche. L'etimologia mette in luce
l'archetipicità di questo sentimento: "amore" non deriva da altre, non è composta: la sua radice significa se stessa. Quasi non pare artificiale.
Altro paio di maniche è scegliere i sensi, i significati e
il respiro che si vuole dare a questa parola - a questo sentimento. Naturalmente ha un'ottica soggettiva, e il tema sarebbe complicatissimo. Ma su una cosa si può concordare: tanto più ampio e consapevole e tanto più profondo e coltivato è il significato che le diamo, tanto è meglio per la nostra intera vita.
Prevért scriveva: 
La vita è una ciliegia
la morte il nòcciolo
l'amore il ciliegio.

illustrazione Amanda Cass
A volte abbiamo bisogno solo di qualcuno che ci di A volte abbiamo bisogno solo di qualcuno che ci dica che andiamo bene così, anche con i nostri vuoti.

Roberto Emanuelli
Fabio Magnasciutti Fabio Magnasciutti
Settembre: era la più bella delle parole … http Settembre: era la più bella delle parole … https://cctm.website/alexander-theroux-usa/
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E ci saremmo amati davvero così tanto se da lonta E ci saremmo amati davvero così tanto
se da lontano il cuore non ci fossimo scrutati ?… https://cctm.website/nazim-hikmet-turchia-2/
#nazımhikmet #poesia #cctmfb #cctmwebsite #linknbio #anoipiaceleggere #leggere #amore
Come odio i pesci filosofi che danno sempre la col Come odio i pesci filosofi
che danno sempre la colpa ai pesci:
se le onde son troppo forti
e danneggiano il fondale
la colpa è delle code
agitate in modo uguale.
Se il pesce vicino mordicchia la mamma
anzi ne fa un sol boccone
la colpa è dell'avidità,
della "cattiva educazione",
pensiamo subito alla punizione.
La colpa è sempre dei pesci.
Battiamo le pinne sul torace!
Rinneghiamo le squame!
Non sopporto il pesci filosofi,
per non dire di quelli teologi,
per i quali le murene accudirebbero cefali
se non fossero traviate.
Non li sopporto davvero,
e non smetterò di protestare
per queste idee malate.
(Anche se tira tanto la bocca
e mi fa così male).
Non so di chi sia la colpa
ma per me non è dei pesci,
e, forse bestemmio,lo so,ma dico che è dell'acqua:
non si vede mai, non prende posizione
forse nemmeno esiste
questa santa istituzione
che non si mostra mai
e vuole devozione,
ma dov'era quando il gronco ha mangiato la mamma?
E dov'era quando l'ippocampo
è finito scodato?
(e la moglie era così inquieta...)
Sta sempre lì e fa finta di niente
è un' acqua cheta.
Ma dio come tira la bocca...
Però se fa così male
forse davvero è colpa mia
avrà fatto qualcosa per meritarlo,
troppo empio il commento?
o cos'altro non so...forse qualche follia...
un peccato d'inquinamento?
E come si fa chiaro intorno a me.
Mi sa che è questa la famosa superficie,
ma sì, sono anche stufo di nuotare,
chi sa se è vero il racconto dei vecchi:
che i pesci fuor d'acqua
diventano dei.
Forse è il momento di provare
e sono stanco tanto stanco,
e mi fa così male.
Veramente, è meglio andare.

« Questo ha lottato poco all'amo ».
« Sarà stato debole o mesto
Dai, mettilo nel cesto ». 

Filippo Strumia

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A Fishy Story
«In una goccia d'acqua possono esserci miriadi di «In una goccia d'acqua possono esserci miriadi di mondi simili.»
«Non annegano?» chiedeva Shosha.
Al fine di non complicare troppo le cose, dicevo: «Sanno nuotare tutti». 

Isaac Bashevis Singer

foto Ashleyinwanderland - "Fatal Attraction"
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