collettivo culturale tuttomondo Franco Arminio la prima cosa
La prima cosa è ringiovanire.
Non è detto che a sessant’anni
sei più vecchio che a trenta.
L’usura del corpo è poca cosa
rispetto all’usura dell’anima.
Non ti salvi con le tisane,
non ti salvi evitando la carne,
non ti salvi facendo ginnastica:
quello che ti serve è fiorire
come fa una rosa,
come fa un geranio.
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Franco Arminio
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illustrazione von Elena Drobychevskaja (dettaglio)
Leggere Franco Arminio è un po’ come entrare nel proprio corpo, farsi una passeggiata al suo interno, scorgerci difetti, brutture, storture ma anche forme armoniose e poi, semplicemente meravigliarsene.
Le sue parole sono semplici, si potrebbero definire parole “fluide”: scorrono lentamente nell’anima, adattandosi al corpo e insinuandosi tra le pieghe di sentimenti discordi per arginarli e proteggerli.
Franco Arminio è un’anima che si attacca alle cose, si attacca alle circostanze: al profumo di una pianta posta sul davanzale di una finestra che lo investe mentre sta camminando distrattamente per le vie di un paesino, allo sguardo di una donna anziana seduta su una sedia dinanzi al portone di casa sua intenta a cucire o a dialogare animatamente con le sue amiche; egli è un animo che si aggrappa alle urla di bambini che giocano per le strade a pallone, alla voce flebile di una donna e a quella rauca di un uomo che rincasa dopo una giornata di lavoro; si ancora all’aridità e alla magnifica floridezza della terra, al sapore delle stagioni e del tempo.
E’ sensibilità che cammina, parla e interagisce con l’immensa totalità del reale.
La poesia di Franco Arminio scaturisce dal tepore di un’intimità fremente e da un bisogno corporeo impellente che scalpita, vuole emergere e gridare a pieni polmoni: è una poesia viva, cruda, pregna di odori e sapori reali, concreti e caldi, mai intorpidita e sempre tremante ed energica. Egli scrive per sé, per placare un dolore che soffre dentro il suo corpo, scrive per scavare dentro i suoi mali, come un chirurgo opera il proprio paziente per non lasciare che il marcio si espanda nel suo corpo. (Giorgia Pizzillo)
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