centro cultural tina modotti Flavia Giglio
Cronache di un passeggero romano di Flavia Giglio
Il contrasto tra il freddo glaciale delle 7.30 ed il caldo afoso all’interno dell’autobus è debilitante ma terribilmente necessario al risveglio mattutino, quasi obbligatorio.
Con il primo passo, spesso impacciato, frettoloso, pregno di angoscia e terrore, si crea un solido legame tra te, povero mortale con la consapevolezza del ritardo che incombe sulla tua testa, e lui, questo ammasso di ferraglia più o meno nuovo che al momento ha potere decisionale sulla tua vita o sulla tua morte.
Con il primo passo, inizia la routine,attraverso questo viaggio lento e noioso pieno di semafori, rigorosamente rossi, con pedoni ritardatari che passano quando scatta il verde, non il loro, ovviamente.
Con il primo passo,comincia la ricerca spasmodica, di un posticino sicuro in cui passare i trenta-quaranta strazianti minuti necessari in tranquillità, oppure, nella versione in cui la Dea bendata ti odia, la ricerca di un angolino in cui chiuderti a riccio sperando che nessuno ti si avvicini.
Con il primo passo arriva la consapevolezza che non sarà un viaggio tranquillo, né profumato, né solitario.
Con il primo passo entri in un microcosmo a se stante che è parte integrante di una città che può essere definita solo come mista e antica.
Con il primo passo sei dentro Roma. Il mondo fuori dal finestrino è frenetico, in movimento.
Si vedono due vecchietti camminare lentamente appoggiati a dei bastoni, assaporando l’aria fresca del mattino, un ragazzo con lo zaino in spalla sta correndo sperando di non perdere l’autobus, un uomo sulla quarantina sta aspirando l’ultima boccata di fumo dalla sigaretta prima di entrare al lavoro mentre una donna che sta accompagnando le sue bambinea scuola lo supera, con passo sicuro e frettoloso incoraggiando le figlie a non distrarsi.
Roma è vita, Roma è una foresta che si sveglia, Roma è un’anima pulsante che emana energia.
Ha cominciato a piovere. All’interno dell’autobus, l’aria è pesante,umida e condensa sui vetri, quando qualcuno entra o esce l’apertura delle porte ricorda San Pietro che accoglie le anime in Paradiso e ogni fermata è un piolo della tua personale stairway to heaven.
L’autista, da bravo cristiano, alza il volume della radio e concede ai passeggeri una piacevole distrazione dalla realtà che li circonda, e incredibilmente sembra quasi che l’autobus vada a tempo di musica, ogni buca è un salto, ogni curva una piroetta. Tutto ha una sua armonia, tutto segue una logica, tutto è perfetto nelle sue imperfezioni.
Il paesaggio fuori nel frattempo è cambiato, dalle stradine dei quartieri di periferia si è passati al Viale Palmiro Togliatti, strada tanto bella per lo spartitraffico che sembra un parchetto, di quelli in cui si va a fare il pic nic di pasquetta, quanto pericolosa per gli incroci con le vie consolari e per le persone che, distrutte dall’attesa dei semafori che durano ore, tirano fuori tutta la loro romanità e, con colonna sonora qualche “Aò” ed il suono di molti clacson, danno sfogo ai loro istinti più primitivi, tipo il passare col rosso rischiando l’osso del collo “Tanto paga l’assicurazione”.
I primi passeggeri stanno cominciando a scendere per la triade scuola, municipio, scuola.
Finalmente arriva il posto a sedere e con lui un po’ più di tranquillità. Difatti lo zaino, che prima era stretto al petto, ora è lasciato placidamente tra le gambe con la sicurezza che rimarrà lì e che nessuno di improprio lo toccherà. Osservando le persone mentre sono sull’autobus si può capire molto della loro vita, soprattutto col sedere ben stabile.
Ci sono due ragazze che con le cuffie alle orecchie stanno ripassando, la gamba destra di una delle due ha quel tipico tremolio della persona ansiosa e si porta periodicamente le mani alla bocca per mangiucchiarsi le unghie smaltate, sintomo che probabilmente tra loro è lei ad essere a rischio interrogazione.
Un gruppo di coraggiosi, in una nicchia da quattro posti, ha deciso di sfruttare al meglio il viaggio e di giocare a carte, per loro il “tresettino” mattiniero è il momento sacro della giornata, probabilmente il più divertente, ogni tanto esultano di gioia o si accusano di barare ed un signore li guarda e commenta la partita dal sedile accanto.
C’è un bambino che fino ad ora era passato inosservato, guarda stupito fuori dalla finestra e dai suoi grandi occhioni neri si vede il riflesso della strada, ogni tanto si volta verso la madre per farle qualche domanda pregna di quell’ingenuità tipica dell’età infantile che fa nascere un sorriso caldo, materno sul volto della donna “Mamma, ma gli alberi ci vedono?”.
Un ragazzo delle medie, appoggiato alla porta, indossa le cuffiette e mima le parole delle canzoni con la bocca, la testa segue il ritmo della musica troppo alta per essere sentita solo da lui e le dita corrono veloci sullo smartphone di ultima generazione.
Davanti alle porte centrali una famiglia di Rom mangia delle arance ed occupa il posto delle carrozzelle con due passeggini colmi di buste e ninnoli, una bambina gira saltellando per l’autobus canticchiando parole incomprensibili. Dietro di loro un ragazzo piange,convinto di non essere visto, stringe una catenella con un ciondolo a forma di fiore, ogni tanto tira fuori un fazzoletto in cui si soffia il naso in modo poco virile, poi alza la testa, sgrana gli occhi e corre a prenotare la fermata.
L’autobus è questo, è gioia, è dolore, è panico quando perdi la tua fermata.
Si sta avvicinando il capolinea e sta aumentando la pioggia. L’ombrello? Semplice optional. L’acqua comincia a entrare, infida e maligna, tra le fessure delle finestre a cui hanno staccato le protezioni in gomma. Addio posticino tranquillo, ora sei solo un posto bagnato. Poi, accade l’impossibile, dall’ oltretomba ecco ergersi il custode degli inferi: Cerbero, il gigantesco cane a tre teste.
Quest’ oggi nella sua forma umana rappresentata da tre controllori zuppi e fradici che creano disordine e scompiglio tra i passeggeri, salvo poi fermarsi a chiacchierare con l’autista promettendosi di rincontrarsi il giorno seguente per un bel caffè, tipico luogo comune italiano. Con l’entrata in scena dei controllori si è creata una fila irreale che comprime le persone, dando vita a quel familiare effetto sardina, altro cliché all’italiana.
L’autobus è appiccicume, è cattivo odore, è disordine.
Nell’angolo accanto all’autista una signora sull’ottantina commenta il prezzo del biglietto con un uomo che annuisce assorto, poco attento “signò, ai tempi miei costava solo 10 lire! Con le tremila che ce ne vogliono oggi mi ci facevo tre abbonamenti mensili!”. Si sente un urlo rozzo da parte dell’autista e una frenata molto brusca dopo che una moto gli ha tagliato la strada non rispettando lo stop, il movimento azzardato ha fatto cadere una busta della spesa di una signora, ed ora un’arancia rossa rotola sul pavimento sporco e bagnato dell’autobus.
Il suo itinerario si ferma accanto ad una foglia di lattuga dal colorito verde smorto, sintomo che sarà lì da un mese o più. Un tuono distrae dallo spettacolo che si è creato, l’autobus è quasi vuoto ormai, la signora della busta sta per uscire insieme alle ragazze che stavano ripassando e che ora ridono tranquille dimentiche dell’ansia di quindici minuti prima. Il paesaggio grigio, urbano, che si scorge quando si aprono le porte (l’acqua che scorre sui finestrini rende impossibile distinguere Orfeo il paninaro da una qualunque rovina romana) è composto di mille colori che uniti danno queste sfumature cupe, tipiche di quando il cielo è plumbeo.
Roma è viva, Roma è grigia, Roma è un arcobaleno di colori intensi e brillanti.
L’ultimo semaforo rosso prepara all’uscita dalla trappola, l’ombrello mancante verrà compensato dal giacchetto sistemato ad arte per proteggere i capelli e lo zaino, il cellulare è ancora in tasca, le chiavi anche, gambe in spalla e via. Al capolinea un altro autobus è pronto per partire, come una nave sta per salpare perun nuovo continente, un nuovo Mondo, una nuova storia. L’ autobus della Capitale è sporco, è storia, è un viaggio attraverso una realtà pittoresca come quella di Roma.
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Flavia Giglio, Liceo Scientifico Francesco d’ Assisi, Roma.
Vincitrice dell’edizione 2015 di Facciamo un libro, concorso di scrittura creativa organizzato dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci nell’ambito del Premio Strega: STORYBUS – Un finestrino su Roma.
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Flavia Giglio, Liceo Scientifico Francesco d’ Assisi, Roma
Vincitrice dell’edizione 2015 di Facciamo un libro, concorso di scrittura creativa organizzato dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci nell’ambito del Premio Strega: STORYBUS – Un finestrino su Roma. cctm a noi piace leggere