centro cultural tina modotti brunella gasperini
Tu raccomandi alle tue lettrici di essere autonome, di ragionare con la propria testa, di non essere alla mercé di un uomo. Io ho imparato a essere forte e indipendente, ma da quattro anni in qua, cioè da quando mi sono sposata, questo è stato solo un grande guaio. Mio marito mi ha picchiata molte volte, troppe volte, sempre per «futili motivi ».
L’altra sera (sono stata operata all’utero meno di due mesi fa), mi ha dato un colpo allo stomaco così forte che mi ha fatto cadere, sono rimasta a terra senza respiro; mi si è bloccato il ciclo e non mangio da due giorni per il male. Non lo tradisco, lavoro, quando non lavoro sono sempre coi bambini perché lui torna alle tre di notte e non so mai dove va (né glielo chiedo). Merito di essere picchiata solo perché quando dice cose assurde gli rispondo per le rime? D’accordo che quando non c’è amore, né affetto, né stima, crolla tutto.
Ma le botte? Così si raddrizzano le mogli, dice lui. Vado in questura? E cosa fa lui dopo? Non dico con me (non mi interessa), ma coi bambini. No, io sono come i cinesi: aspetto che passi il cadavere del mio nemico sul fiume.
(L.Z. Gorizia, 1974)
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Ti dico il mio parere, L.Z.: io non credo che tu sopporti questa situazione perché sei forte, ma perché sei debole.
Tu devi avere una strana idea della forza, dell’autonomia, dell’indipendenza. Essere autonome non vuol dire guadagnare uno stipendio e rispondere male al marito. Essere autonome vuol dire esserlo di dentro, e saper tener testa al marito non a parole, ma a fatti; vuol dire rifiutare, non coi discorsi ma concretamente, di essere trattata come una bestia da domare; vuol dire saper dare, ma anche esigere rispetto e tolleranza.
Invece tu non sai fare altro che litigare « per futili motivi », rimbeccarlo, tenergli testa solo a parole: almeno, questo e quanto traspare dalla lettera.
Se fossi veramente indipendente e autonoma, e se le cose stessero veramente come dici tu, te ne saresti già anddata coi tuoi bambini. Tu dici che resti con lui amore dei figli: e credi che sia un bene per i figli che vedere i litigi e le botte dei genitori?
Più avanti, aggiungi resti con lui per motivi di fede religiosa: ma hai mai parlato a fondo con un sacerdote?
Nessun sacerdote degno di questo nome ti dirà che la religione vuole che tu stia li tutta la vita a farti picchiare sotto gli occhi dei figli.
Contraddicendoti ancora, dici che resti con tuo marito perché fai come i cinesi, aspetti di veder passare sul fiume il cadavere del tuo nemico: è un concetto ben poco cristiano (cinese, appunto), e mi sembra assurdo, oltre che crudele.
Il tuo atteggiamento attuale è l’atteggiamento peggiore che ci possa essere: tu rimbecchi, litighi, covi rancore e sogni vendette cinesi, e intanto continui a restar lì e a prender botte. A quanto capisco, tuo marito non è un pazzo furioso, è solo un uomo prepotente e meschino che approfitta della moglie linguacciuta e indisponente, ma debole. Si dice che ogni moglie ha il marito che si merita: e in parte (dico in parte) è vero.
Se c’è l’inferno in casa, la colpa non è solo di chi lo provoca, ma anche di chi lo sopporta. Deciditi a dare alla tua vita un indirizzo più coerente, L.Z.
Se vuoi restare con tuo marito, smetti di rimbeccare, litigare, provocarlo « per futili motivi » e cerca invece di addolcirti e di addolcirlo, di capire che cosa c’è dietro la sua aggressività (e dietro la tua), di stabilire un dialogo tra persone almeno civili. Se questo non è possibile, deciditi a chiedere la protezione della legge e ad andartene coi tuoi bambini.
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Brunella Gasperini per la posta del cuore di Annabella