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Anna Achmàtova Il mio silenzio

19/01/2024 By carlaita

cctm collettivo culturale tuttomondo Anna Achmàtova Il mio silenzio

Io difendo
non tanto la mia voce,
quanto il mio silenzio.

Anna Achmàtova

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opera: Giorgio Kiernerk, Il Silenzio, 1900

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Anna Andréevna Achmátova (Bol’soj Fontan, 1889 – Mosca, 1966) è stata una poetessa russa, considerata tra le maggiori del secolo in lingua russa.

Compose la prima opera, La sera, nel 1912, alla quale seguì Il rosario nel 1914. Lo stormo bianco (1917), Piantaggine (1921), Anno Domini MCMXXI (1922) sono raccolte di versi ispirate dall’esperienza biografica. Dopo la fucilazione del marito nel 1921, seguì una lunga pausa, che ruppe nel 1940 con Il salice e Da sei libri. Il figlio Lev fu imprigionato fra il 1935 e il 1940 nel periodo delle grandi purghe staliniane. Espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici nel 1946 con l’accusa di estetismo e di disimpegno politico, riuscì tuttavia ad essere riabilitata nel 1955, pubblicando nel 1962 un’opera alla quale lavorava già dal 1942, il Poema senza eroe.

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Anna Andreevna Achmàtova è stata una delle più grandi poete in lingua russa del Novecento, anche se lei preferiva essere definita al maschile.

Anche se non si conoscono le sue poesie, è difficile non avere presente il suo volto inconfondibile. Impossibile che non vi sia rimasto impresso il suo profilo. Il naso piccolo e spezzato, gli occhi intensi e intrisi di tristezza, la bocca severa anche quando increspata da un sorriso. Famoso il dipinto che le fece nel 1914 Nathan Altman – in cui appare vestita dei colori di quella che quattro anni dopo diventerà la bandiera ucraina, giallo e blu –, ma anche i disegni in cui Amedeo Modigliani la ritrasse a memoria, dopo averla incontrata nel 1912 a Parigi: una semplice linea nera sullo sfondo bianco.

La sua voce poetica porta su di sé i segni lasciati sul popolo russo – e poi sovietico – e sulla sua intelligencija, dalla rivoluzione bolscevica prima e dallo stalinismo poi. A differenza di molti altri intellettuali e artisti, nonostante le enormi violenze subite e il bavaglio alla sua espressività artistica, Achmàtova non abbandonerà mai la sua terra. E forse fu proprio questo stolido sentimento di appartenenza, in nome del quale si sopporta qualsiasi cosa, questo attaccamento viscerale a un territorio, a nutrire il discutibile nazionalismo del figlio, anch’esso duramente punito dalla cultura sovietica e pure fattosi voce di dogmi assurdi da sostenere, ancora una volta basati sul dominio e l’oppressione in nome di una presunta giusta causa. (by Lucia Brandoli )

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