collettivo culturale tuttomondo Angeles Mastretta Traduzione Gina Maneri
di Angeles Mastretta (Messico)
C’è gente contro cui la vita si accanisce, gente che non ha periodi di sfortuna, bensì una serie continua di tormenti.
Quasi sempre queste persone diventano lamentose. Quando incontrano qualcuno, si mettono a raccontare le proprie disgrazie, finché alle loro disgrazie si aggiunge il fatto che nessuno desidera incontrarle.
Questo non accadde mai alla zia Ofelia, perché nonostante la vita l’avesse assediata varie volte con la sua arbitrarietà e i suoi infortuni, lei non assillò mai nessuno con la storia dei suoi dispiaceri.
Dicono che fossero molti, ma non se ne conosce neppure il numero esatto, né tanto meno le cause, perché lei fece in modo di cancellarli ogni mattina dal ricordo altrui.
Era una donna dalle braccia forti e dall’espressione allegra, aveva una risata cristallina e contagiosa che sapeva usare al momento opportuno.
Nessuno, invece, la vide mai piangere.
A volte le dolevano l’aria e il suolo che calpestava, il sole dell’alba, le orbite degli occhi. Le dolevano come una vertigine il ricordo e, come la peggior minaccia, il futuro. Si svegliava nel cuore della notte con la certezza che si sarebbe spezzata in due, sicura che il dolore se la sarebbe mangiata in un sol boccone. Ma appena faceva giorno si alzava dal letto, si metteva sul volto il sorriso,si aggiustava lo splendore sulle ciglia e usciva incontro al prossimo come se i dispiaceri la facessero galleggiare nell’aria.
Nessuno osò mai compatirla. Era tanto stravagante la sua forza, che la gente cominciò a cercarla per chiederle aiuto.
Qual era il suo segreto? Chi proteggeva le sue afflizioni? Dove trovava il talento per non piegarsi davanti alle peggiori disgrazie?
Un giorno svelò il suo segreto a una giovane donna il cui dolore sembrava non avere rimedio:
«Ci sono molti modi di suddividere gli esseri umani», le disse. «Io li divido tra quelli con le rughe all’insù e quelli con le rughe all’ingiù, e io voglio far parte della prima categoria. Voglio che la mia faccia da vecchia non sia triste,voglio avere le rughe che vengono dal riso, e portarle con me all’altro mondo. Chissà che cosa dovremo affrontare laggiù».
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de Angeles Mastretta (Mexico)
Hay gente con la que la vida se ensaña, gente que no tiene una mala racha sino una continua sucesión de tormentas. Casi siempre esa gente se vuelve lacrimosa.
Cuando alguien la encuentra, se pone a contar sus desgracias, hasta que otra de sus desgracias acaba siendo que nadie quiere encontrársela.
Esto último no le pasó nunca a la tía Ofelia, porque a la tía Ofelia la vida la cercó varias veces con su arbitrariedad y sus infortunios, pero ella jamás abrumó a nadie con la historia de sus pesares.
Dicen que fueron muchos, pero ni siquiera se sabe cuántos, y menos las causas, porque ella se encargó de borrarlos cada mañana del recuerdo ajeno.
Era una mujer de brazos fuertes y expresión juguetona, tenía una risa clara y contagiosa que supo soltar siempre en el momento adecuado.
En cambio, nadie la vio llorar jamás.
A veces le dolían el aire y la tierra que pisaba, el sol del amanecer, la cuenca de los ojos. Le dolían como un vértigo el recuerdo, y como la peor amenaza, el futuro. Despertaba a media noche con la certidumbre de que se partiría en dos, segura de que el dolor se la comería de golpe. Pero apenas había luz para todos, ella se levantaba, se ponía la risa, se acomodaba el brillo en las pestañas, y salía a encontrar a los demás como si los pesares la hicieran flotar.
Nadie se atrevió a compadecerla nunca. Era tan extravagante su fortaleza, que la gente empezó a buscarla para pedirle ayuda.
¿Cuál era su secreto? ¿Quién amparaba sus aflicciones? ¿De dónde sacaba el talento que la mantenía erguida frente a las peores desgracias?
Un día le contó su secreto a una mujer joven cuya pena parecía no tener remedio:
—Hay muchas maneras de dividir a los seres humanos —le dijo—. Yo los divido entre los que se arrugan para arriba y los que se arrugan para abajo, y quiero pertenecer a los primeros. Quiero que mi cara de vieja no sea triste, quiero tener las arrugas de la risa y llevármelas
conmigo al otro mundo. Quién sabe lo que habrá que enfrentar allá.
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da Donne dagli occhi grandi, Giunti, 2014
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Traduzione di Gina Maneri
Foto: Pina Baush, fotografo Walter Vogel
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