collettivo culturale tuttomondo Volevo un cuore
L’uomo di latta di G_Elizabeth
Volevo un cuore.
Sì, avete capito bene, voi, spettatori di queste mie parole non dette, di questa mia opera inutile, tanto quanto lo è la vostra inestimabile ed indispensabile presenza alla mia creazione.
Io, miei cari, volevo un cuore pulsante, che fosse vivo, come una volta.
Volevo quell’organo non più grande di un pugno, volevo sentire il suo costante battito nella cassa toracica, il sangue scorrere nelle arterie, nelle vene ed arrivare al cervello fino a scendere giù, al piacere del peccato carnale.
Un cuore, io lo volevo così intensamente da arrivare a bramare persino la vita altrui.
Tuttavia, miei carissimi, non avevo mai toccato nessuno, non avevo mai strappato quell’elisir tanto dolce dal corpo di nessuno.
Io ero buono, in fondo; una piccolissima parte del mio essere lo era.
Quando fui creato, infatti, oltre a tutti questi noiosi e metallici ingranaggi meccanici, il mio caro e compassionevole dottore doveva aver messo dentro di me -per sbaglio forse?- un po’ di bontà e un ricordo di quello che un tempo si provava ad avere la felicità incatenata nel petto.
Chissà poi da dove si prende, la bontà? … E la felicità? Voi lo sapete?
Per quanto fosse piccola, quell’odiosa particina, non mi faceva commettere alcun peccato, inferire dolore, rubare anime immacolate… Ed ora come ora, amici miei -noi siamo amici, non è così, miei dolci e succulenti spettatori?-, non posso sfiorare nemmeno un’ascia o un fiore, nemmeno la mia adorata, non più.
Quel giorno, quando il mio corpo si fermò all’improvviso senza darmi il tempo di fare alcunché, era un giorno come tanti altri passati su questo misero pianeta. Ero nel bosco e gli alti alberi non mi permettevano di vedere chiaramente il cielo plumbeo e minaccioso, fu per questo che non mi accorsi dell’arrivo del temporale e purtroppo, data la mia essenza di latta… L’acqua non mi diede scampo.
Fui paralizzato.
Fu un peccato che l’acqua non paralizzò anche la mente ed i tumultuosi pensieri.
Oh… Quanto mi mancavano le mie vecchie mani, le mie vecchie gambe, il cuore che avevo, una volta. Perché io, amici, io, sì! Io possedevo un cuore una volta. Io ero vivo, ero un uomo tanto tempo fa… Ed il mo cuore batteva per una donna. Era talmente bella da farmi impazzire, da rendere la mia volontà inutile davanti a cotanta perfezione e grazia. L’amavo, compagni, sapete? L’amavo davvero fino alla fine dei tempi, fino a che il mio essere sarebbe stato vivo, anche se si fosse trovato nell’aldilà.
Ma la portarono via da me, in un luogo a me inaccessibile dato che ero così malamente ridotto. La uccisero, in modo che non potessi rivederla anche se a mia volta avessi strappato via da me la vita inutile che possedevo. Perché io… Ero immortale, se mi tagliavano un braccio, io cosa sentivo? Niente! Ero plasmato nella materia inanimata, le miei vene vuote non sentivano niente se recise o strappate dalla mia carne metallica.
…E un anno era passato.
Un anno… Era passato, ed io ero ancora lì, un ammasso di ruggine e rottami immobile nella vegetazione.
Un anno… Passato a pensare. I pensieri si sovrastavano l’un l’altro, combattendo per prevalere nel darmi noia e dolore.
Un anno… Immobile a pensare a questa esistenza così maledettamente triste e vuota senza lei.
Un anno… Senza poter muovere un muscolo di latta, senza chiudere gli occhi ed immaginare il mio amore, i suoi occhi cristallini che mi penetravano, il suo calore che mi avvolgeva, tenero.
Un anno di rabbia ed impotenza…
Finché i miei salvatori non vennero in mio soccorso. Dorothy e uno spaventapasseri, così si chiamavano quella bambina ed l’uomo di paglia. Un po’ bizzarri come salvatori… Ma chi ero io per giudicare, amici? Chi? Uno stupido uomo senza cuore, ecco chi.
E loro, sì… Loro mi salvarono finalmente. Mi unii a loro nel lungo viaggio che li portava nella antica Città Fantasma, popolata da creature maligne e crudeli, streghe deformi con anime nere immerse nella perversione, lupi dagli artigli d’acciaio e una fame senza fine, denti che spezzavano le ossa in un armonioso coro di urla, incubi che lambivano il corpo e leccavano via la vita, deliziosi tentatori di anime ormai macchiate.
Un leone tanto codardo incontrammo per strada, un nuovo compagno ci aveva portato la codardia e la paura. Strana squadra era diventata la nostra.
Strana famiglia eravamo diventati senza accorgercene.
… E con la mia fedele ascia spianai il nostro passaggio, uccisi crudeli mostri che di noi volevano solo provare il sapore sul loro disgustoso palato, decapitai scimmie alate, buttai giù ogni ostacolo da burroni alti e pericolosi.
Nessuno mi avrebbe ostacolato, nessuno più mi avrebbe allontanato dalla mia missione. Per me, era talmente fondamentale che avrei spedito tra le fiamme dell’inferno chiunque mi avrebbe intralciato.
La mia gratitudine andava solo ai miei compagni e, senza alcun dubbio o timor, a voi amici miei, spettatori di questa mia tragedia.
Vi offro tutto e spero voi lo accettiate come un dono prezioso, unico nel suo genere.
La mia, non è un storia a lieto fine, per un uomo di latta… Il lieto fine non esiste.
Per un uomo senza cuore… Possono esistere lacrime da versare?
Per me ne esisteranno mai?
Ero artificiale, ero freddo… Ero senza cuore e uccidere mi risultava talmente facile tanto quanto non lo era uccidere me stesso.
Dorothy e i miei compagni, tuttavia, non dissero mai nulla. La mia storia la conoscevano fin dall’inizio e mi avevano fatto dono delle loro lacrime poiché delle mie non ne potevo soffrire. Erano stati buoni e la loro sofferenza per la mia storia mi dava la forza di andare avanti per concludere ciò che avevo iniziato tempo addietro…
Quando l’ascia mi smembrò, compagna fedele. Lei lo è sempre stata.
Quando la Città Fantasma raggiungemmo… Tutto ciò che mi era oscuro si rivelò tanto semplice che la cecità della mia anima mi aveva abbandonato, ora… Vedevo tutto ciò che un tempo avevo amato così tanto.
Quando il Mago si avvicinò, l’ascia insanguinata della mia stessa anima nera ricadeva al mio fianco, morente. Il Mago non disse nulla, il viso coperto da un verde cappuccio mi proibiva di scorgere anche il più piccolo particolare del suo volto.
Le sue mani fredde mi porsero un oggetto dopo che lo ebbi minacciato con tanta furia.
La sua voce roca era una lenta ninna nanna, la malinconia e la pena nella sua voce lessi tanto chiaramente da frantumarmi le ossa.
Allungò le mani, chiuse e aspettò. Mi inginocchiai e con braccia tremanti accolsi il dono che mi fece.
Un cuore, rosso… Vivo e pulsante.
Il mio cuore, quello di un tempo quando ancora il sangue scorreva in me.
Lo avvicinai a me e tristemente un sorriso si dipinse sul mio volto cereo. Sporcai il mio viso, le mie mani con il sangue che dopo tempo rivedevo zampillare.
Mi alzai in piedi e ringraziando per un’ultima volta Dorothy e i miei compagni, la mia famiglia, me ne andai; senza voltarmi e stringendo al petto gelido quel mio pezzo di bontà così tanto a lungo cercato.
La bambina, il leone e l’uomo di paglia versarono lacrime al mio addio, bagnarono il mio corpo freddo lavando inconsapevoli il sangue che copioso colava da ferite invisibili ai loro occhi.
Camminai per giorni interi senza mai fermarmi, per mesi e forse anni… Il tempo non aveva più importanza per me.
Il gelo non penetrava dentro di me, il sangue mi riscaldava.
I rumori non giungevano alle mie sorde orecchie, il pulsare vivace del cuore fra le mie mani copriva ogni cosa.
I sentimenti fino ad allora celati esplosero dentro di me, riversando lacrime nere ad ogni passo che compivo.
… E finalmente arrivai lì, quel luogo desolato dimenticato da qualsiasi Dio fosse mai esistito. Le tombe si susseguivano, grigie e tristi si ergevano in quella terra sterile.
Fra esse giacevano i suoi resti, i lembi di anima del mio amore, del mio piccolo, dolce, amore. Raggiunsi il luogo di riposo del mio angelo terreno e, sorridente, sporco di sangue e petali di rosa mi abbandonai su di essa.
Le sue braccia, invisibili all’occhio mortale, mi abbracciarono mentre le mie lacrime bagnavano la terra e quel cuore tanto bramato e alla fine conquistato.
Finalmente eravamo vicini… E fra poco insieme per sempre.
Alzai l’ascia sopra la testa e con un gesto secco, mentre le lacrime che finalmente riuscivo a versare dopo tutto quel tempo, mi bagnavano la carne che via via si stava facendo dolorosa e pesante e i sentimenti così angoscianti da non poter più riuscire a sopportare, pugnalai il mio cuore senza alcun rimpianto o pena per la morte che correndo mi raggiungeva, famelica della mia esistenza.
…E finalmente, dopo quell’attesa durante un’intera vita,
eravamo insieme… E lo saremmo stati per sempre.
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illustrazione: Cuore di Latta by AkaB
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