collettivo culturale tuttomondo Rosaria Costa
Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani – Vito mio – battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato… – chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso.
Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano [pausa, il sacerdote al fianco di Rosaria Schifani suggerisce: «se avete il coraggio…»] di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro [applauso].
Loro non cambiano, loro non cambiano… No. Aspetta, aspetta, no [Rosaria Schifani si rivolge al sacerdote che la invita a seguire il testo scritto]. Di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: “Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno”.
Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo [pianto] che avete reso questa città sangue, città di sangue [Rosaria Schifani parla con il sacerdote]. Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue – troppo sangue – di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti
Non c’è amore, non ce n’è amore, non c’è amore per niente.
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foto: Letizia Battaglia, Rosaria Costa al funerale di suo marito Vito Schifani , 1993
Rosaria Costa il 25 maggio del ’92 pronunciò parole indicibili, lucide e disperate allo stesso tempo, ai funerali del marito Vito Schifani e di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro nella Chiesa di San Domenico a Palermo: “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio”.
Suo marito, Vito Schifani, morì a 27 anni sull’autostrada A29, all’altezza dello svincolo di Capaci in zona Isola delle Femmine. La strada che dall’aeroporto di Punta Raisi, ribattezzato poi col nome di Falcone e Borsellino, va a Palermo. Schifani fu ucciso dall’esplosione di 500 chili di tritolo insieme ai poliziotti Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Era l’agente della scorta del magistrato, che guidava la prima delle auto travolte dall’esplosione. La loro Croma marrone fu quella investita con più violenza dalla deflagrazione, tanto da essere sbalzata dal manto stradale in un oliveto a più di dieci metri di distanza. La seconda vettura, una Croma bianca, la guidava lo stesso Falcone, che rientrava a Palermo da Roma in compagnia della moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato.
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