collettivo culturale tuttomondo Natalia Aspesi (Italia)
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Per circa tre anni ho amato un uomo incapace di amare, ma ne ero innamorata e lo giustificavo, «se non può dare più di così non è colpa sua».
Dolcemente mi tiranneggiava: «dovresti dimagrire, accorciare i capelli, schiarirli, no quel vestito, no le unghie laccate»; oggi penso che mi giudicasse non abbastanza carina per lui, considerata la grande opinione che ha di sé. Non sopportavo l’idea che potesse lasciarmi invece è accaduto: la prima volta che ho agito autonomamente ha detto basta, senza appello.
Con dolore, ha detto lui, solo con stizza credo io.
Dopo le prime reazioni tipo pugno nello stomaco e successivo smarrimento, d’un tratto e quasi con stupore ho rincominciato a sentirmi viva e vitale. Ho ritrovato i vecchi amici che a lui non piacevano, ricominciato a gustare i miei adorati dolci che mi hanno fatto un po’ ingrassare (ma chi se ne frega), vesto come mi piace e mi lacco le unghie di rosso. E il dolore per l’abbandono? Niente! Ma allora che razza di amore era il mio, se il «dopo» è così lieve. Mi rassicura la consapevolezza che posso vivere anche senza di lui e scopro l’allegria, il divertimento di andare in bicicletta con i jeans tagliati alla coscia che lui trovava orrendi. Le sembro sciocca? Mi sento leggera.
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Tina, Mestre
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Indubbiamente quei jeans devono essere orrendi, e lei fa benissimo a portarli, con allegria, se le danno il senso della comodità, della libertà, dell’essere lei stessa.
Il suo era amore come gli altri, fin che è durato era amore vero: ma è lei a essere, per fortuna, diversa da tante ragazze che si ostinano a pensare che finito un amore, è finita la vita, il suo carattere sereno, il suo equilibrio, il suo senso del ridicolo, le hanno mostrato subito il lato buono della situazione, abbandonata sì, ma da un uomo ingombrante, pieno di sé, che voleva dominarla, che le toglieva piccole libertà futili come laccarsi le unghie.
Sola sì, ma finalmente libera di non ubbidire a diktat insensati, di dedicarsi al piccolo piacere di un dolce, di andare in bicicletta senza sentirsi rimproverare.
Vorrei che dalla sua storia così spontanea, altre ragazze imparassero a uscire da disperazioni spesso inventate, cocciute, inutili. Non accenno al vecchio detto che piaceva tanto a mia madre (e spesso detto, visto i numerosi abbandoni cui ero soggetta), morto un papa se ne fa un altro: ma ne invento subito un altro, ispirato da lei: senza il papa si sta benissimo.
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Natalia Aspesi per il Venerdì di Repubblica, 1993
Natalia Aspesi per il Venerdì di Repubblica, 1993