collettivo culturale tuttomondo Mario Lodi e i suoi ragazzi
C’era una volta (e c’è ancora) un piccolo paese disteso nel verde e al sole: nel paese c’era un palazzo alto alto e sul tetto del palazzo, nascosta sotto una tegola, una passera covava tre sue uova piccine, senza abbandonarle mai.
Babbo passero pensava a procurarle il cibo volando dal nido alla campagna e dalla campagna al nido e sceglieva per lei í chicchi di grano piú teneri e grossi e saporiti e quando glieli portava le diceva: — Porta pazienza! Ancora un po’ e sarai mamma!
Un bel mattino di primavera la passera senti: cric, cric…, allora alzò le ali e vide che erano nati tutti e tre. — Come sono felice! — esclamò, e insieme con babbo passero spiccò il volo verso il cielo azzurro.
Al sole tiepido frullò le ali intorpidite, poi si alzò sopra i comignoli, più in alto della punta del campanile, piú su del parafulmine, sempre piú in su, nell’azzurro. Quindi si tuffò di nuovo verso il suo nido e passando gridò alle nuvole, al sole, alle rondini, al nastro d’argento che si snodava laggiú ín mezzo ai prati verdi, ai fiorellini e ai fili d’erba, agli alberi che stavano maturando i frutti e ai pioppi che facevano la guardia, dritti come carabinieri sull’attenti, accanto al fiume.
— Sono nati! Sono mamma! Sono tre!
Tornata al nido, li osservò attentamente: com’erano belli, pur senza piume, i suoi figlioli! Allungavano il collo verso la mamma, aprivano il becco, chiamavano. Uno, il piú piccino, era il piú birichino: sbatteva le alucce e si girava di qua e dí là come se il nido fosse troppo stretto per lui. I fratellini facevano: cip, cip, cip, con garbo, lui invece gridava: cipí, cipí e non smetteva mai.
— Ecco, lo chiameremo Cipí! — disse la mamma.
A sentire quel verso strano il babbo e la mamma gli dicevano: — Perché piangi? — Cipí… cipí, voglio uscire di qui!… — gridava lui. — Stai qui, ora ti copro con le mie piume calde, — gli sussurrava la mamma mentre lo scaldava con l’ala. Gli altri due si addormentavano subito, invece lui si dimenava: — Cipí… cipí…, voglio uscire di qui!… — e ci voleva del bello e del buono e tutta la pazienza della mamma per convincerlo a dormire come i suoi fratellini.
E una volta che babbo e mamma non erano lí, nudo com’era, saltò fuori dal nido e cominciò a girare per i tetti. finché, arrivato sul ciglio, guardò giú e gli girò la testa.
Había una vez (y todavía hay) un pueblecito que se extendía sobre el verde y al sol; en el pueblo había un palacio alto, alto y en el tejado del palacio, escondida bajo una teja, una gorriona incubaba sus tres huevecitos, sin abandonarlos nunca.
Papá gorrión se en-cargaba de traerle la comida, volando del nidoal campo y del campo al nido, eligiendo para ella los granitos más tiernos y sabrosos, y cuando se los llevaba le decía:—¡Ten paciencia! ¡Dentro de poco serás mamá!
Una hermosa mañana de primavera la gorriona oyó: “cric, cric…” entonces alzó las alas y vio que habían nacido los tres.
—¡Qué feliz soy! —exclamó y levantó el vuelo hacia el cielo azul junto a papá go-rrión.Batió las alas entumecidas al sol cálido, después se elevó por encima de los aleros, más arriba de la aguja del campanario, cada vez más arriba, hacia el azul. Luego se lanzó de nuevo hacia su nido y al pasar gritó a las nubes, al sol, a las golondrinas, a la cinta de plata que serpenteaba allá abajo, entre los prados verdes, a las florecillas y a las briznas de hierba, a los árboles que maduraban sus frutos y a los álamos que montaban la guardia junto al río, tiesos como guardias civiles en posición de firmes
.—¡Han nacido! ¡Soy mamá! ¡Son tres!
De vuelta en el nido los observó atentamente: ¡qué guapos eran, aun sin plumas, sushijitos! Alargaban el cuello hacia su mamá, abrían el pico, la llamaban.Uno, el más chiquitín, era el más vivara-cho; agitaba las alitas y daba vueltas de uno a otro lado como si el nido fuera demasiado estrecho para él. Los hermanitos hacían: “cip, cip, cip”, con garbo, en cambio él gritaba: “cipi, cipi, cipi” y no paraba nunca.
—¡Ya está, le llamaremos Cipi! —dijo la mamá.
Oyendo aquel extraño canto, el papá y la mamá le decían:—¿Por qué lloras?—¡Cipi… cipi, quiero salir de aquí…! —gri-taba él.—Quédate aquí, ahora te tapo con mis plumas calientes —le susurraba la mamá mientras le calentaba con el ala.Los otros dos se adormilaban enseguida, en cambio él se agitaba:—Cipi… Cipi… ¡quiero salir de aquí…! —y eran necesarios todos los arrumacos y toda la paciencia de la mamá para convencerle de que se durmiera como sus hermanitos.
Una vez que papá y mamá no estaban allí, desnudo como se encontraba, saltó fuera del nido y empezó a corretear por los tejados y cuando llegó al borde miró hacia abajo y sintió vértigo.
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Mario Lodi e i suoi ragazzi, La Nascita di Cipì, da Cipì, Einaudi, 1972 – El nacimiento de Cipì, Cipì, Alfaguara, Mexico, D.F., 2000.
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mario lodi
immagine: copertina del libro
La storia raccontata in questo libro è nata in una scuola di campagna, a Vho di Piadena, dove Mario Lodi è stato protagonista di un’esperienza educativa di centrale importanza. Oltre i vetri dell’aula, il maestro e i ragazzi scoprono e annotano una storia comune nel mondo della natura, ma non per questo meno vera e significativa: quella del passerotto Cipì e della sua compagna Passerì, circondati da personaggi di volta in volta buoni e cattivi: un gatto, un gufo, una margherita, ma anche il sole, le nuvole, le stagioni. Seguendo le avventure di Cipì, identificandosi in lui, nelle sue difficoltà e nelle sue vittorie, i ragazzi hanno descritto la loro vita, le loro scoperte.
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