cctm collettivo culturale tuttomondo Lorenzo Romano su Gita al faro
“Gita al faro” di Virginia Woolf, Il libro in cui vale la pena smarrirsi di Lorenzo Romano
“In mezzo al caos c’era la forma;
L’eterno passare e fluire (guardò le nuvole in movimento e le foglie che si scuotevano al vento) veniva bloccato nella stabilità.
“Vita, fermati qui!” diceva.”
“Chi sa che cosa siamo, che cosa proviamo?
Chi può dire, anche nei momenti di intimità, questa è la conoscenza? Non si rovina tutto dicendola?”
Ti strania la Woolf!
Ti disintegra, ti rende partecipe del suo sentirsi vuota, anzi svuotata.
Dalla vita.
“Gita al faro” è il testamento del non avere luogo spazio e tempo nella vita. In ogni passo si crede di aver trovato la trama, il bandolo della matassa, il punto chiave e puntualmente ci si ritrova persi, senza aver compreso nulla.
Un continuo mix di sensazioni, sentimenti, emozioni, incroci di anime e di istanti malinconici. Un continuo vagare alla stregua delle onde del mare, tanto tranquille se viste dall’alto ma tanto impetuose se viste da dentro il mare stesso.
Un continuo parallelismo con lo stato d’animo dell’autrice.
Come soffici raffiche di vento, la Woolf lascia andare via frasi che risuonano come massime, parole intriganti intricate e lancinanti, che sembrano essere umane, che sembrano dare voce alle emozioni.
È delicata, dolce e allo stesso tempo forte e tagliente.
È poesia romanzata.
È fluire di un fiume di candidi pensieri.
“Ma come si potevano esprimere a parole le emozioni del corpo, esprimere il vuoto? […]
Volere e non avere, questo le mandò in tutto il corpo una durezza, un vuoto, una tensione. E poi volere e non avere — volere e volere — come torceva il cuore, e lo torceva ancora e ancora! […]
Fantasma, aria, nulla, una cosa con cui giocare facilmente e in modo innocuo a ogni ora del giorno e della notte, lei era stato questo, e poi improvvisamente allungava una mano e le torceva il cuore così.
Improvvisamente, i gradini vuoti del salotto, le frange delle sedie all’interno, il cucciolo che ruzzolava sul terrazzo, tutto l’ondeggiare e il bisbigliare del giardino divennero come curve e arabeschi che fiorivano intorno a un centro di vuoto assoluto.
«Che cosa significa? Come lo spiega tutto questo?» voleva chiedere, rivolgendosi nuovamente al signor Carmichael.
Come mai a quell’ora di prima mattina il mondo intero sembrava essersi dissolto in una pozza di pensiero, in un bacino profondo di realtà?”.
La sua fluidità nel reggere e allo stesso tempo leggere la vita è riflessa nel quasi impossibile esplicarsi della trama del suo racconto.
Le sue visioni lungimiranti, aperte, profonde riescono ad accompagnare con trepidante attesa di un evento sino al termine del racconto mantenendo costante e vivo l’interesse, deliziando di qua e di là, toccando tutti i temi della vita, esposti per cento bocche di persone diverse, in tutto. Persino lo stile ti taglia fuori: non si comprende chi sia il narratore, non ci sono quasi mai virgolettati, nulla.
In questo lungo percorso, in questa famosa gita che alla fine dura tanto, dura un lungo racconto, si intrecciano vicendevolmente storia emozioni vissuti che sembrano lasciar traccia, ma allo stesso tempo scompaiono.
Alla fine si resta a bocca asciutta e soprattutto incompleti.
Come un’onda del mare: ti attrae, ti tira dentro, ti sballottola e, se ti viene bene, ti sputa fuori rintontito.
“Ma nel fondo del mare più agitato,
fui in gorghi più fondi trascinato.”
“Che tu ed io ed ella passiamo e scompariamo; niente resta; tutto cambia; ma non le parole, non la pittura.”
E grazie a dio, Virginia è rimasta. Impressa.
In eterno.
foto: Lorenzo Romano
Lorenzo Romano, nato a Galatina (Lecce) nell’Agosto del 1993, è un docente di scuola primaria.
Da sempre amante della letteratura in ogni sua forma, pubblica articoli di stampo culturale con diverse riviste online.
Il suo campo di interesse spazia tra la letteratura e la musica d’autore passando per il teatro ed il cinema.
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