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La sorella di Shakespeare

01/07/2022 By carlaita

collettivo culturale tuttomondo La sorella di Shakespeare

Virginia Woolf, da Una stanza tutta per sé, 1929

Consentitemi di immaginare, dal momento che i fatti sono così difficili a ottenersi, che cosa sarebbe accaduto se Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, chiamata Judith, poniamo. Molto probabilmente Shakespeare frequentò – perché sua madre era un’ereditiera – la scuola secondaria, dove è probabile che avesse imparato il latino- Ovidio, Virgilio e Orazio – e gli elementi-base della grammatica e della logica. […] Nel frattempo quella sua sorella straordinariamente dotata, immaginiamo, rimaneva in casa. Era altrettanto desiderosa di avventura, altrettanto ricca di fantasia, altrettanto impaziente di vedere il mondo quanto lo era lui.

Ma non venne mandata a scuola. Non ebbe la possibilità di imparare la grammatica e la logica, men che mai quella di leggere Orazio e Virgilio.

Di tanto in tanto prendeva in mano un libro, magari uno di quelli di suo fratello, e ne leggeva alcune pagine. Ma a quel punto arrivavano i genitori e le dicevano di rammendare le calze o badare allo stufato e smetterla di fantasticare fra libri e fogli di carta. Avranno certo parlato con tono brusco ma gentile, perché erano gente concreta che sapeva come debbono vivere le donne e amavano la loro figlia – anzi, più facilmente di quanto non si creda, lei era la prediletta di suo padre. È possibile che scrivesse di nascosto qualche pagina, su in soffitta, ma stava bene attenta a nasconderla o bruciarla. Molto presto, però, ancor prima che fosse uscita dall’adolescenza, dovette essere promessa in moglie al figlio di un vicino mercante di lane.

La ragazza gridò che il matrimonio le era odioso, e per averlo detto venne picchiata con violenza dal padre. Ma poi l’uomo smise di rimproverarla.

Piuttosto la supplicò di non darle questo dolore, di non disonorarlo rifiutando il matrimonio. Disse che le avrebbe regalato una collana o una bella sottogonna; e aveva gli occhi pieni di lacrime. Come faceva a disobbedirgli? Come faceva a spezzargli il cuore. Fu la forza del talento che era in lei, da sola, a indurla a compiere quel gesto. Una notte d’estate la ragazza preparò un fagottello con le sue cose, si calò giù con una corda e prese la strada di Londra. Non aveva ancora diciassette anni. Gli uccelli che cantavano nel verde non erano più melodiosi di lei.

Come suo fratello, lei possedeva il dono della più viva fantasia per la musicalità delle parole. Come lui, aveva una inclinazione per il teatro.

Si fermò davanti alla porta degli attori; voleva recitare, disse. Quegli uomini le risero in faccia. L’impresario – un uomo grasso, dalle labbra carnose – scoppiò in una risata sguaiata. Urlò qualcosa a proposito dei cani ballerini e delle donne che volevano recitare – nessuna donna, disse, avrebbe mai potuto fare l’attrice. L’uomo fece intendere invece – vi lascio immaginare che cosa. Non avrebbe mai trovato qualcuno che le insegnasse quell’arte. E, del resto, avrebbe forse potuto cenare nelle taverne o andarsene in giro per strada a mezzanotte?

Eppure il suo talento la spingeva verso la letteratura e desiderava ardentemente potersi nutrire in abbondanza della vita di uomini e donne e studiarne i costumi.

E alla fine – poiché era molto giovane, stranamente somigliante nel volto a Shakespeare, il poeta, con gli stessi occhi grigi e le sopracciglia arrotondate alla fine Nick Greene, l’attore impresario, ebbe compassione di lei; la ragazza si ritrovò incinta di quel gentiluomo e così – chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? – si uccise, in una notte d’inverno, ed è sepolta nei pressi di un incrocio, là dove oggi si fermano gli autobus vicino a Elephant and Castle.

Così, più o meno, sarebbe andata la storia, io credo, se una donna, ai tempi di Shakespeare, avesse avuto il genio di Shakespeare.

 

illustrazione: Carlotta Cogliati

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