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Jaime Sabines (Messico)

06/09/2021 By carlaita

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Ti amo come quando vado con te in luoghi che sono solito frequentare e quando ti racconto che è proprio lì che mi siedo a pensarti.
Ti amo così tanto che potrei ascoltarti ridere tutta la notte.
Ti amo così tanto da non lasciarti andare mai più.
Ti amo come si amano certi amori, all’antica, con l’anima e senza guardare indietro
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Te quiero como para ir contigo a los lugares que más frecuento, y contarte que es ahí donde me siento a pensar en ti.
Te quiero como para escuchar tu risa toda la noche.
Te quiero como para no dejarte ir jamás.
Te quiero como se quiere a ciertos amores, a la antigua, con el alma y sin mirar atrás.

Jaime Sabines

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traduzione dal web

opera: Henri-Jules-Ferdinand Bellery-Desfontaines, Enigma, 1898

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Di Jaime Sabines (1926-1999) si sa poco o niente in Italia ed è un vero peccato perché è ritenuto a ragione uno dei più importanti poeti messicani del Novecento.

Nato da immigrati libanesi emigrati a Cuba (1902), quindi trasferitisi in Messico, nel Chiapas, proprio negli anni in cui infuriava la rivoluzione di Pancho Villa e Emiliano Zapata, Sabines crebbe in una Città del Messico che respirò a lungo un clima di straordinaria apertura politica e culturale, di tolleranza e di incontro, e anche grazie a questo – credo – è riuscito a legare la sua vita alla poesia e la sua poesia alla vita come pochi altri autori del suo secolo ispirandosi a qualcosa di molto elementare, e qualcuno direbbe “anti-novecentesco”, e forse è solo buon senso: cioè che la scrittura in fondo non è che una testimonianza del nostro passaggio sulla terra.

Ci sarà chi lascia testimonianza del suo passaggio su un muro con vernice spray, in attesa che i netturbini vengano a pulire, e chi invece predilige altre forme del discorso, più discrete, e fra queste la poesia, e non perché sia la più alta e complessa, a rischio di apparire talvolta poco intellegibile, ma forse perché entra in profondità nelle parole, nel loro modo di incontrare e scontrare la realtà.

A tal proposito Sabines sostiene, in una poesia, che esistono due tipi di poeti “moderni”: «quelli, sottili e profondi, che indovinano l’essenza delle cose e scrivono: “Lucifero, luci zero, Luci Eros, la gola della luce partorisce colori collerici”, eccetera, e quelli che inciampano in una pietra e dicono “stupida pietra”». Lui appartiene a questa seconda categoria, non alla prima, dei «más afortunados», sui quali c’è sempre un critico intelligente che scrive un trattato Sobre las relaciones ocultas entre el objeto y la palabra y las posibilidades existenciales de la metáfora no formulada, e così li fa entrare nel «Club de la Fama» … continua a leggere 

testo di Salvatore Ritrovato

 

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