collettivo culturale tuttomondo Giorgio Arcari (Italia)
Parole dopo l’amore, sul finire della notte di Giorgio Arcari (Italia)
Lui è alla finestra. Nudo, fatta eccezione della sigaretta. Farà tanto cinema, ma non gli è mai piaciuto fumare sdraiato. Guarda fuori, senza realmente vedere nulla. Il suo corpo è un curioso miscuglio di muscoli rilassati e di muscoli tesi. Silenzioso, alterna boccate di fumo a respiri lenti, profondi.
“Stai bene?”
Di traverso sul letto, sdraiata sulla pancia. Fuma anche lei, il mento appoggiato su una mano, la pelle interrotta solo da un lenzuolo negligente attorcigliato intorno ad una coscia, un piede sollevato.
In un solo gesto lui getta la sigaretta dalla finestra socchiusa e si volta. Lo sguardo corrucciato dal gelo della notte e da pensieri lontani si scioglie in un attimo di fronte a quella posa da diva e a quegli occhi intensi.
Sorride, di un sorriso che diventa una piccola risata interna, intima, mentre si china a baciarla.
“Sto benissimo”. Si sdraia di schiena, quasi perpendicolare, i due volti vicini.
“Eri così silenzioso..”
“Beh, mi sembra che abbiamo già urlato fin troppo”.
“Scemo!” Ride un attimo, poi torna seria “dov’eri andato?”
“Chi lo sa. Ogni tanto la mia mente parte, in cerca di qualche mondo. Soprattutto quando sono felice.”
“Sei felice?” Lo sguardo di lei non attende risposta dal volto poco sotto il suo. Si fissa sullo specchio a parete, proprio di fianco alla finestra.
“Guarda. Come siamo belli. Torbidi di sesso. Puri. Dovremmo farci una fotografia. Tante foto. Una per ogni sensazione provata. Bella, brutta. Fermare tutto prima che scappino via”.
“Bisognerebbe avere sempre a portata di mano una macchina fotografica”. Entrambi guardano la macchina di lei, effettivamente in attesa su una sedia, a pochi centimetri. Ridono.
“Vorrei averla piantata qui nel petto. Per riprendere tutto quello che mi fa accelerare il cuore. Oppure…” il suo tono si fa sardonico “Oppure qui, in mezzo alla fronte. Il terzo occhio della percezione. Ti piacerei lo stesso?”
Nel parlare si muove. Un seno sfugge all’intrico di coperte in cui era incastonato. Lui si allunga per baciarlo, senza staccare gli occhi da quelli di lei, attraverso lo specchio. “Mi piaceresti con un numero qualsiasi di occhi. Tu sei bellissima”
“Banale” ma sorride, ancora.
“Insomma. La verità non è mai banale. Guardati” Le passa la mano sul corpo, mentre gli occhi di entrambi sono fissi sullo specchio, che registra tutto. “Al massimo in questo caso è scontata, mai banale”.
Lei ride “ma quante verità assolute, stanotte. Eppure sono verità soltanto per i tuoi occhi”
“Allora” dice mentre si avvicina a lei, creando mille contatti tra i due corpi ancora accaldati “vorrà dire che i miei occhi hanno davvero un gran buon gusto.” La accarezza di nuovo. “ E non solo i miei occhi”.
Lei gli si rovescia addosso, a cavalcioni. Il corpo ancora carico di sessualità, nei gesti intimi, con un che di fraterno. Gli poggia i gomiti sul petto, occhi negli occhi.
“Adesso cosa facciamo?”
Silenzio. Occhi enormi. Occhi che vanno e vedono oltre l’immediato. Anche troppo oltre, quasi da esserne spauriti.
“Adesso viviamo”.
“E che cosa vuol dire?”
Ad interromperli, da fuori, il canto del primo uccello. Il buio non lascia ancora intendere l’alba, ma ecco qualcuno che già la saluta. Sempre uno comincia, il più sensibile. O il più insonne, chissà. I due lo ascoltano cantare solitario, finché altri si uniscono al coro. E improvvisamente sembra che una nota di viola cominci a versarsi nella luce della notte.
Menti allontanate per un attimo. I corpi, geniali d’istinto, nell’assenza di quel canto hanno cominciato a cercare di nuovo l’amore, da soli. Quando le voci tornano, si sono fatte roche, sussurranti.
“Allora, cosa vuol dire?”
“Non me lo chiedere. Non lo so. Oppure sì, ma significa troppe cose per dirle tutte insieme”
“Due cuori e una capanna?” Ridono tutti e due
“Anche, perché no?”
“Non mi voglio annoiare. Ho paura. Non mi voglio svegliare, tra un mese. O tra dieci anni. Svegliarmi e non avere la certezza di aver vissuto”.
Lui piega il collo per guardare dalla finestra. Lei, sopra, fa lo stesso. Il buio ora è decisamente più tremolante. Note di luce fredda sanciscono l’approssimarsi della fine della notte insonne.
“Allora non dormiamo. Così non dovremo preoccuparci del risveglio. La vita è fatta di tante cose. Giorno e notte. Godere del mondo e starsene intrecciati a letto per ore. Ridere, piangere, leggere, scrivere..”
“Fotografare” lei non si trattiene, e ridono di nuovo entrambi”.
“Fotografare, sì! Esplorare. Fare la spesa, le pulizie, guardare le bollette” facce improvvisamente serie “poi gettarle sul tavolo e fare le borse, per prendere il primo aereo in partenza. Andare via. E poi tornare, senza stancarsi mai di fare entrambe le cose”.
“Fermarsi di tanto in tanto a guardarsi negli occhi…”
“Assolutamente.” Lui si sente un calore nella voce. E lo sente anche nella voce di lei. Un calore nuovo, diverso da quello che li accomuna più in basso, dove i loro corpi si sfiorano, ancora non uniti.
“Sì, guardarsi negli occhi. E poi guardare insieme nella stessa direzione”.
“Questa non è tua, però!”
“No” ammette lui ridendo “ma una buona frase torna sempre utile, come ottima bugia o come ottima verità”. Termina la frase baciandola.
“E questa che cos’è?”
“Credo proprio che sia il caso della verità”
“Credi?” Ora è lei che, sussurrando, lo bacia.
“È la verità, sì”.
Le parole si fermano, mentre i due si cercano con la bocca. Carezze sul viso, sugli occhi. Carezze che colmano fameliche i pochi millimetri che ancora li separano. Un piccolo movimento e lui le scivola dentro. Non si muovono, entrambi sorpresi dal calore che si irradia dalla fusione dei loro corpi, prima ancora che dalla promessa della passione che sta per giungere.
La bocca di lei gli sfiora il viso mentre parla, respiro caldo sulla pelle. “Dunque è questo l’amore di cui si parla tanto..”
“Scopriamolo, abbiamo tutto il tempo”
Lei alza il viso, verso la luce sempre meno confusa che si insinua dalla finestra. “Ma questa nostra notte è quasi finita”
Lui non guarda fuori. Le prende il viso tra le mani e guida i due sguardi ad unirsi. “Chi se ne importa. Il nostro giorno è appena cominciato”. La bacia.
Poi, per molto tempo, non servono loro altre parole.
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Giorgio Arcari