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Ernst Jünger (Germania)

31/07/2023 By carlaita

cctm collettivo culturale tuttomondo Ernst Jünger (Germania)

Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo.

Ernst Jünger

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foto: Marta Orlowska – fair use

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“Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo”. È una frase di Ernst Jünger in cui si sottolinea il ruolo dell’autenticità.

È vero che, anche se in modo pressoché inconsapevole, si può vivere secondo regole di vita fissate da altri.

Lavoriamo sodo sul posto di lavoro, perché la società si aspetta che noi lo facciamo; non dedichiamo troppo tempo al divertimento, perché pensiamo che la gente ci giudicherebbe frivoli, ecc.

Il risultato è che finiamo con l’essere ansiosi e col condurre vite che non ci soddisfano pienamente.

Fondamentalmente in ognuno c’è una tendenza a condurre una vita autentica, libera dai condizionamenti. Perché, allora, conseguire una vita autentica non è immediato?

Una serie di fattori può essere d’ostacolo: la mancanza di autostima, per esempio o il conformismo, la pressione ad agire secondo regole fissate non da noi e/o solo parzialmente condivise.

L’autenticità non è una qualità che si ha o non si ha. È, piuttosto, una scelta che riflette il modo in cui vogliamo vivere. È la decisione quotidiana di essere onesti con noi stessi, di abbracciare la propria vulnerabilità e di non preoccuparsi troppo di ciò che pensano gli altri. Siccome essere autentici è una scelta, attuabile più o meno, non bisognerebbe sentirsi in colpa se alcuni giorni avvertiamo la stanchezza del cammino che abbiamo davanti.

In effetti, un nemico dell’autenticità è il perfezionismo. In breve, si tratta della credenza che, se noi sembriamo perfetti e viviamo perfettamente, allora saremo in grado di proteggere noi stessi dalle critiche, dai giudizi degli altri o anche dalla vergogna. Ciò che è sbagliato non è il tentativo di migliorarsi, ma piuttosto di conformarsi agli altri. Dal punto di vista emotivo, tale atteggiamento è tossico, perché fa dipendere la considerazione che abbiamo di noi dall’approvazione o dal rifiuto degli altri.

La mente del perfezionista non riconosce queste trappole. Succede così che ogni volta che inevitabilmente si fallisce ad ottenere la perfezione, il perfezionista condanna se stesso per la sua incapacità e si impone di fare meglio, sempre meglio, indipendentemente se questo sia effettivamente possibile.

Sottrarsi a queste trappole comporta di non lasciare che l’opinione degli altri sia la nostra motivazione. Soprattutto, qualsiasi cosa derivi dalle nostre azioni, che sia successo o fallimento, essi non riguardano in alcun modo la nostra individualità essenziale, ciò che di più intimo siamo. (by Giovanni Scarafile)

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Non si può vedere il tuo nome chiuso nella mia gola, il tuo “sì” nel mio sangue, la sete e la fame che ora chiedono solo di te, e il nodo che mi hai stretto alle viscere, e l'affanno di non saperti seguire, se non con il mio passo lento, che esiste solo in funzione del tuo, che sa solo la strada che vedi tu. 

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🍁🍂 🍁🍂
Qual è la parola per dire che non si hanno più s Qual è la parola per dire che non si hanno più sentimenti
negativi verso chi ti ha ferito?
Perdono, mi hanno risposto. Ma io volevo, al contrario, parlare
del rancore.
Questo è stato l’inizio e può valere come esempio.
Ogni giorno c’è una parola nuova di cui non ricordo il senso
e il cui suono tintinna un motivo percepito a brani
familiare una volta, ora perduto.
La sua luce abituale cade. Di colpo non importa,
provo rancore, perdono chi prova rancore, mi perdono?
C’è un alfabeto incomprensibile, un linguaggio dimenticato.
I nomi ruotano privi della loro materia fin dal mattino.
Come chiamare la stoffa bianca che il vento muove davanti
alla vetrata?
Tenda, tende. Il riso mi si annida in gola.
Lei, cioè io, tende a cosa?
Qui so rispondere: tendo alla terza persona
alla grazia sperimentata una volta sola
di un dolore sdoppiato e spinto fuori
poi fissato, ascoltato perfino nello scroscio delle lacrime
ma da un’altra me stessa
capace di lasciare la sua vecchia pelle sulla terra.

Antonella Anedda 

 foto © Nini Kubaneishvili
Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi s Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, a usare la maschera. 

Emil Cioran
foto Saul Leiter
Fabio Magnasciutti Fabio Magnasciutti
Per riuscire a capire il mondo, a volte bisogna di Per riuscire a capire il mondo, a volte bisogna distrarsi.

Albert Camus

foto keristi  k
di Maya Angelou Ho imparato che qualsiasi cosa a di Maya Angelou 

Ho imparato che qualsiasi cosa accada, o per quanto l’oggi sembri insopportabilmente brutto, la vita va sempre avanti e il domani sarà  migliore.
Ho imparato che si può capire molto di una persona dalla maniera in cui affronta queste tre cose: una giornata piovosa, la perdita del bagaglio, l’intrico delle luci dell’albero di Natale.
Ho imparato, indipendentemente dal rapporto che abbiamo coi nostri genitori, che ci mancheranno quando saranno usciti dalla nostra vita.
Ho imparato che il semplice sopravvivere è diverso da vivere.
Ho imparato che la vita qualche volta consente una seconda chance.
Ho imparato che non si può affrontare la vita con i guantoni da baseball su entrambe le mani: si ha sempre bisogno di gettare qualcosa dietro le spalle.
Ho imparato che ogni volta che prendo una decisione col cuore, generalmente faccio la scelta giusta.
Ho imparato che anche quando ho delle sofferenze non devo essere una sofferenza.
Ho imparato che ogni giorno si dovrebbe uscire ed avere contatti con qualcuno.
Ho imparato che le persone gradiscono molto un abbraccio, o anche semplicemente una pacca sulle spalle.
Ho imparato che ho ancora molto da imparare.
Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto hai detto, dimenticheranno quanto hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.

illustrazione Ofra Amit
Carezze, ecco. Io se fossi una mano sognerei care Carezze, ecco. 
Io se fossi una mano sognerei carezze, quel bel contatto che consola la pelle che le riceve e anche quella che le fa.

Sergio Claudio Perroni

Foto: Laura Makabresku
Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un l Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.

Amos Oz

[Una storia di amore e di tenebra, traduzione di E. Loewenthal, Feltrinelli, 2003]
Pier Vittorio Tondelli da Biglietti agli amici, Ba Pier Vittorio Tondelli da Biglietti agli amici, Baskerville, 1986 … https://cctm.website/pier-vittorio-tondelli-biglietti-agli-amici/
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