collettivo culturale tuttomondo Ariadna Efron e Marina Cvetaeva
un piccolo componimento di Ariadna Efron (all’età di sei anni), per la madre Marina Cvetaeva
La mia mamma è molto strana. La mia mamma non assomiglia per niente a una mamma. Le mamme sono sempre contente della loro prole e specialmente dei bambini, però a Marina non piacciono i bambini piccoli.
I suoi capelli sono rosso chiari, con dei riccioli dalle parti. Ha gli occhi verdi, il naso con una gobba e le labbra rosee. È alta, mi piacciono le sue mani. La sua festa preferita è l’Annunciazione. È triste, svelta, ama le poesie e la musica. Anche lei scrive poesie. È paziente, sopporta fino all’estremo. Si arrabbia e ama. Deve sempre correre da qualche parte. Ha un’anima grande. Una voce tenera. Cammina molto rapida.
Marina ha sempre le mani con tanti anelli. Di notte Marina legge. Guarda sempre come se prendesse in giro. Non vuole che le si facciano domande stupide, altrimenti si arrabbia molto. Certe volte cammina come sperduta, ma improvvisamente si riprende come svegliandosi, comincia a parlare e di nuovo se ne va da qualche parte.
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foto: Ariadna Efron e Marina Cvetaeva
Ariadna Efron (Alja), la figlia primogenita di Sergej Jakovlevic Efron e di Marina Ivanovna Cvetaeva, nasce a Mosca il 18 settembre 1912.
E’ una bambina dai grandi occhi azzurri come il padre; è bellissima e molto intelligente. Fin da piccola con straordinaria precocità capta suggestioni poetiche dalla madre. Marina Cvetaeva è, infatti, una grande poetassa, la cui particolarissima pronuncia, rappresa ed incandescente, ritmata da cesure e trattini, potenti detonatori di ogni prevedibilità sintattica, tocca una delle vette più alte e innovative nella geografia poetica del Novecento.
Allo scoppio della Rivoluzione, Sergej si arruola nell’Armata Bianca mentre Marina, con Alja ed Irina, nata nel frattempo, rimane a Mosca. Alja impara presto a leggere e all’età di sette anni già compone piccole poesie; è, inoltre, dotata di grande talento nel disegno. Nel febbraio del ’20, nell’asilo di Kuncevo, muore di denutrizione la sorella Irina.
Nel ’21, dopo circa quattro anni, il padre può dare notizie di sé.
Nel maggio del ’22, Alja e Marina lo raggiungono a Berlino. La famiglia si trasferisce in Cecoslovacchia, dove vive nei dintorni di Praga in condizioni difficili. Nel febbraio del ’25 nasce il fratello Georgij, chiamato affettuosamente Mur, che la Cvetaeva adora. Nell’autunno, la famiglia si trasferisce in Francia; vive soprattutto nei dintorni di Parigi in condizioni di vera indigenza. Alja confeziona berretti e pupazzetti di lana che vende a cinque franchi. Dal ’28 al ‘30 frequenta la scuola del Museo del Louvre, e poi l’Istituto di Arte Applicata.
In quegli anni Sergej si accosta sempre di più all’ideologia bolscevica e mostra chiare tendenze filosovietiche. Alja, che è stata, come la madre, decisamente antisovietica, si avvicina alle idee del padre. Anche per questo, il rapporto intenso ed esclusivo con la madre si spezza drammaticamente. Nel marzo del ’37, Alja, convinta di trovare in Unione Sovietica il regno della libertà e dell’impegno per una società più giusta, fa ritorno a Mosca. In ottobre, in seguito ad un omicidio, anche Sergej, diventato un agente dei servizi segreti sovietici, ritorna a Mosca. Alja è felice; si trova nel suo grande paese, lavora alla “Revue de Moscou”, ha conosciuto Mulja Gurevic, di cui è innamorata.
In questo periodo si incontra spesso con Boris Pasternak, conosciuto per la prima volta nel luglio del ’35 a Parigi, dove il poeta si trovava per partecipare al primo congresso degli scrittori antifascisti.
Nel giugno del ’39 anche Marina e Mur, rimasti a Parigi, fanno ritorno in URSS. La famiglia riunita vive nella dacia di Bol’ševo, vicino a Mosca. Nell’ agosto Alja viene arrestata: è accusata di complicità con il padre, ritenuto un traditore. Nella disgrazia lo straordinario rapporto madre-figlia si ricompone. Alja è condannata ad otto anni di lager. Nell’ottobre del ’39 è arrestato anche il padre che sarà fucilato nel ’41. Sopraggiunta la guerra, la Cvetaeva, con Mur, lascia Mosca, ma ad Elabuga si uccide, impiccandosi.
Dopo il lager Alja, rilasciata nel ’47, si stabilisce a Rjazan’, dove insegna grafica. All’inizio del ’49 viene di nuovo arrestata e condannata al confino a vita a Turuchansk, in Siberia,. Da Turuchansk Alja inizia un intenso carteggio con Pasternak, il quale manda a lei per prima il manoscritto del Dottor Živago. Riabilitata nel ’55 e tornata a Mosca, Alja dedica tutto il suo impegno al ritrovamento e alla pubblicazione dei manoscritti della madre; scrive anche un libro di memorie su di lei, Marina Cvetaeva, mia madre, che sarà pubblicato postumo nel ’79 a Parigi.
Ariadna Efron si spegne a Tarusa, luogo incantato dell’infanzia della madre, nel 1975.