cctm collettivo culturale tuttomondo Antonio Porchia (Italia /Argentina)
Chi ama sapendo perché ama, non ama.
Quien ama sabiendo por qué ama, no ama.
Antonio Porchia
da Voci, Genesi, 2013
Il poeta e critico letterario francese Roger Caillois (che fu anche scrittore di aforismi), durante un viaggio a Buenos Aires nel 1947, scoprì per caso le Voci, rimanendone assolutamente affascinato.
Due anni più tardi, la traduzione in francese delle Voci fece guadagnare ad Antonio Porchia la fama internazionale e l’apprezzamento da parte dei surrealisti francesi come André Breton che ebbe a scrivere “Il pensiero più duttile di espressione spagnola è, per me, quello di Antonio Porchia”. Nel 1974 arriva la consacrazione definitiva da parte di Octavio Paz che in un articolo su Plural parlerà di Porchia come “di una figura capitale della letteratura ispanoamericana. Capitale proprio per la sua marginalità”.
Qualcuno definisce Antonio Porchia (Conflenti, 1885 – Buenos Aires, 1968) un mistico e un santo, altri un allievo di Lao Tzu e della filosofia orientale, altri un oracolo eracliteo, altri ancora un poeta, altri infine un filosofo molto vicino al pensiero di Wittgenstein (molti degli aforismi di Antonio Porchia si potrebbero infatti rapportare alla famosa affermazione di Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio rappresentano i limiti del mondo” e “Chi dice la verità, non dice quasi nulla”, vertendo sulla impossibilità di dire il dicibile, di rappresentare il rappresentabile).
Antonio Porchia è tutto questo, ma anche altro. Già a partire dal titolo della raccolta, Voces, emerge la complessità dell’opera e la difficoltà di inquadrarla all’interno di un contesto univoco. Alla scrittrice Ines Malinow che, in una intervista del 1964, gli chiedeva perché il titolo Voces, Antonio Porchia risponde: “E difficile dirlo. Tutto si ascolta. E si ascolta di tutto” e poi continuando: “Uno è un’infinità di cose. La certezza chi ce l’ha? Il mio libro Voces è quasi una biografia, che è quasi di tutti”.
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