centro cultural tina modotti Alessandro Bulgini (Italia)
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foto: Alessandro Bulgini, Taranto Opera Viva, decoro urbano su relitto in Mar Piccolo, Performance, 2015
Courtesy of the artist
Alessandro Bulgini è un artista eclettico dotato di un’energia dirompente e di una grande empatia.
Queste sue caratteristiche sono state fondamentali per la realizzazione di un instancabile lavoro di ricerca, un lavoro libero dai pregiudizi e dalle corte catene del mercato dell’arte che spesso hanno ingabbiato, nella sterile ripetizione, tantissimi artisti.
Fin dagli esordi, Bulgini, concentra la propria ricerca sul tema dell’invisibile e del sommerso, dal 1990 al 2000 con il ciclo di opere Le déjeuner sur l’herbe e dal 2001 ad oggi con i cicli Hairetikos e Opera Viva.
Performance, quadri, fotografie, installazioni, interventi urbani, sono tutti strumenti che l’artista ha utilizzato nel tempo come atti di opposizione a una verità ritenuta assoluta, tentativi di indicare qualcosa al di là del visibile.
L’opera Artista di Quartiere si inserisce in questo percorso di ricerca e appartiene al ciclo Opera Viva.
Il ciclo Opera Viva nasce nel 2008 e trova le proprie radici nella storia personale dell’artista che riesce a coniugare nelle sue opere l’arte e la vita.
Figlio di un velista ufficiale di Marina, Bulgini cresce legato in maniera indissolubile con il mare. Egli utilizza spesso in tutte le sue opere elementi appartenenti alla propria storia personale traslandoli nell’arte.
Il fulcro della sua ricerca è sempre stato quello di portare attenzione a ciò che è dimenticato, nascosto, di portare luce nel buio, di far emergere ciò che è sommerso.
Nella mostra Hairetikos – das Narrenschiff, successiva alla performance sul Tevere Hairetikos – la nave dei folli, Bulgini «… mette la barca nello spazio, lungo la sua diagonale e ne rafforza l’assoluto cromatico, dipingendo di grigio e di nero le pareti dello spazio e circondando il vascello arenato di nove quadri neri… Nella stanza a fianco, costruisce una piccola cella, un luogo ristretto, misero, con una branda, un televisore e un ventilatore. Lì c’è il vero naufragio di una vita, la costrizione di un quotidiano fatto di regole e vessazioni, che invece nella zona nera, della barca arenata, si libera nel viaggio senza meta, nella condizione di totale autosufficienza immaginativa in cui vive il folle».
Si tratta della “Zona”, quella sommersa, la zona arenata, quella periferica e defraudata ma altresì viva e libera.
L’“opera viva”, nel gergo nautico, è la parte sommersa dello scafo e dunque rappresenta il sommerso, tutto ciò che è invisibile, tutte le periferie, mentali e fisiche.
In tutti i cicli di opere, dunque, Bulgini è interessato all’altra dimensione, quella nascosta, quella invisibile, quella dove si nascondono “gli altri”, una dimensione sommersa sotto la superficie che possiamo raggiungere solo se capaci di un atto di volontà: non vediamo più noi stessi specchiandoci, ma riusciamo a vedere l’altro e l’altrove.
Nell’importante mostra Hairetikos alla Fondazione Volume! di Roma nel 2003 l’artista chiarisce in maniera netta il proprio racconto.
La mostra, una grande installazione site-specific, rende tridimensionale la ricerca pittorica dell’artista: un ciclo di quadri neri specchianti che celano in profondità un’altra dimensione.
Queste le parole della curatrice Paola Magni : «Sugli unici registri del bianco e del nero, della luce e dell’ombra senza possibilità di gradazione, è stata impostata l’installazione Hairetikos di Alessandro Bulgini. Con questo intervento “la visione del mondo” dell’artista si materializza in una netta bipartizione dello spazio, risultato di una quasi totale trasfigurazione dell’ambiente, necessaria a tradurre in esperienza vissuta il concetto dell’esposizione, giocato sull’idea di visibile e invisibile, di esterno e interno. Il consueto ingresso è stato reinventato assumendo l’aspetto di una camera nobile rifinita nei suoi particolari e illuminata dalla luce di un elegante lampadario, amplificata da quattro tubi al neon collocati strategicamente negli angoli della volta. Da questo punto, un’angusta soglia segna il repentino e traumatico passaggio da una condizione all’altra, da una situazione ambientale e concettuale chiara e determinata, a una successiva immersa nel buio totale, assolutamente disorientante. All’interno di questa seconda sala, le cui pareti sono state interamente tinteggiate di nero, l’osservatore necessita il tempo per riabituare la propria pupilla e per prendere visione dei dipinti che Alessandro Bulgini ha collocato. L’essenza della ricerca pittorica di Bulgini, dei suoi misteriosi dipinti, si fa percorso che allude alla necessità di recuperare un tempo perduto e di prendere coscienza della verità, tale perché nell’oscurità, perché non svenduta come falsa evidenza».
Luce e buio, visibile e invisibile, emerso e sommerso, centro e periferia.
È così che nel 2008 Bulgini trasla il termine Opera Viva nell’arte per indicare, da quel momento in poi, tutto il proprio lavoro, per descrivere una poetica e un’indagine dedicata all’altro e all’altrove.
Ma Opera Viva è anche un’opera social che si avvale del contributo attivo di tutti i suoi partecipanti, “gli altri”, mediante la quale l’artista sviluppa varie modalità innovative nell’utilizzo artistico dei social network e pone attenzione sull’idea di opera corale, un’opera che nasca dalla relazione con l’altro da sé, un’opera partecipata.
Nel 2012, il 23 aprile, Bulgini aggiunge un nuovo tassello al proprio lavoro dedicato alla lateralità e alla periferia: il progetto Opera Viva B.A.R.L.U.I.G.I., progetto con il quale l’artista abbandona lo studio per inoltrarsi nella quotidianità della vita.
Nasce così la figura del District Artist, l’Artista di Quartiere, l’artista che opera nel proprio quartiere attraverso l’arte visiva.
Il District Artist è molto diverso dal più famoso street artist, non c’è ripetizione del gesto, non c’è celebrazione della propria poetica, c’è invece la relazione con gli abitanti, c’è la profonda conoscenza del territorio, ci sono gesti effimeri e poetici, c’è un’opera che si concretizza nel fine e non nella realizzazione di un manufatto; un’opera che si avvale di ciò che già esiste, di piccoli gesti ma di grande sensibilità, per operare la trasformazione.
Da un bar di periferia, il Bar di Luigi, l’artista enuncia le semplici regole per poter trasformare il preesistente, in questo caso trasformare spazi preesistenti (quali bar, macellerie o paesi interi etc) in spazi di accoglienza creativa senza filtri, gratuiti e no profit, connessi fra di loro in rete tramite pagine Facebook, sotto l’egida del logo B.A.R.L.U.I.G.I. che diventa un acrostico: Base Aerospaziale Ricercatori di Luoghi, Utopie Indipendenti e Geometrie Ignote. Si tratta dunque di luoghi già esistenti dove l’arte interviene per “illuminare”, luoghi dove la creatività si mischia alla vita quotidiana, luoghi che si trasformano in spazi di ricerca dove coltivare l’indipendenza dello sguardo e della ricerca.
Il progetto, volutamente dichiarato inefficiente dall’artista, diventa “contagioso” e vede il coinvolgimento di tantissime persone.
Nel 2014, con la chiusura della base di B.A.R.L.U.I.G.I. dovuta alle difficoltà economiche aggravate dagli atti vandalici, Bulgini riversa le sue attività direttamente sui territori, partendo sempre dall’Opera Viva, dalla periferia: il proprio quartiere, Barriera di Milano a Torino.
L’artista incomincia così a decorare con magici e complessi “crop circles” i marciapiedi (Decoro Urbano).
Il fine è sempre lo stesso dal lontano 1990 e cioè portare luce là dove è buio, portare attenzione all’altrove, ritrovarci capaci di guardare al di là dell’apparenza e della superficie. Bulgini difatti si attiva tramite “escamotage” artistici (quali Luci d’Artista, Orto Urbano, Decoro Urbano, Caccia al Tesoro e moltissimi altri interventi, tutti scaturiti dalla conoscenza e dalle necessità dei singoli territori e dei loro abitanti) per portare attenzione ai luoghi in difficoltà.
Egli opera in maniera variegata per tutto ciò che è invisibile, per tutte le periferie del mondo, dalla città vecchia di Taranto alla Jungle di Calais, dalle montagne del Marocco alle periferie americane, dall’Housing sociale Giulia all’Ospedale Sant’Anna di Torino, nella convinzione che l’arte debba essere uno strumento “vivo” e che debba attivarsi per portare attenzione là dove è faticoso guardare, un’arte al servizio dell’altro e dell’altrove, un’arte immersa nella quotidianità, non più rinchiusa nei musei e nelle gallerie ma diffusa nei quartieri, parte integrante della vita delle persone.
Bulgini sottolinea ripetutamente la necessità che l’artista non sia più una figura rinchiusa su se stessa e nel proprio studio ma un attivatore, un medium che ha il compito di legare l’arte e la vita.
Un’arte dunque pubblica che possa essere in grado di contribuire positivamente alla qualità sociale, favorendo l’inclusione, sviluppando coesione, facilitando la partecipazione attiva della comunità. È l’Artista di Quartiere, la figura dedicata a tempo pieno al proprio quartiere, la funzione quotidiana, la presenza visibile sul territorio che, tramite l’arte visiva, accompagna i quartieri in emergenza nel loro cambiamento socio- culturale. L’Artista di Quartiere dunque non lavora one-spot ma vive e presidia il proprio territorio agendo riutilizzando il “preesistente”.
Esplora e utilizza le risorse del territorio in modo sostenibile creando collaborazioni basate sul reciproco beneficio in una relazione fondata sull’idea del dono.
Le modalità non sono predefinite ma “vivono” e si realizzano giornalmente sulla base del rapporto con il territorio e le persone che lo abitano. L’uso di elementi del luogo e l’acquisizione di codici formali facilmente comprensibili per la comunità sono un incredibile veicolo di relazione, un collante straordinario tra persone, a testimonianza di un passaggio delicato e poetico, come appunto delicato e poetico è il passaggio dell’artista.
Nel 2019 l’opera di Bulgini, l’attività dell’Artista di Quartiere, sente la forte necessità di passare il testimone, di individuare un decalogo che possa costituire un modus operandi per altri artisti, anche se nella totale libertà espressiva.
Per questo motivo la realizzazione di un workshop di formazione dedicato ai giovani artisti è stato un passaggio importante: perché ciascun artista con le proprie caratteristiche, con la propria “cassetta degli attrezzi”, ha potuto mettere l’arte al reale servizio delle persone e al tempo stesso fornire spunti nell’individuazione di una serie di comuni denominatori di quel “fare arte” scaturito dalla relazione con l’altro e dalla lettura delle persone e dei territori.
Ne è nato un manuale dalle caratteristiche variegate e permeato di umanità, ne è scaturita la speranza che esso possa essere strumento utile a sensibilizzare le istituzioni locali per il fattivo inserimento nel proprio organico di una figura così particolare e unica come l’Artista di Quartiere.
Un manuale dunque come un’opera che compendi gli aspetti essenziali con funzioni divulgative, un manuale che indichi un oggetto da tenere a portata di mano (en-cheir) dal greco enchiridion (ἐνχειρίδιον), un vademecum, un prontuario per quegli artisti che vogliono essere sempre pronti a utilizzare lo strumento “arte”.
Dieci sono stati i giovanissimi artisti coinvolti nel workshop che hanno collaborato alla messa a punto di un meccanismo che da particolare potesse divenire universale.
Per più di un mese, attraverso lezioni teoriche e pratiche, tutti hanno cercato di perfezionare un loro modo di operare sul territorio attraverso l’arte. Tutti sono stati chiamati a relazionarsi con la quotidianità della comunità e si sono fatti interpreti e creatori poiché l’arte deve rappresentare una pratica quotidiana da utilizzare per attivare e supportare le trasformazioni sociali.
Un’indicazione sopra tutte le altre: la relazione quale primo elemento necessario; relazione sia con gli abitanti che con il paesaggio urbano.
Ed è proprio la relazione che ci aiuta a capire su quale tipo di interventi focalizzare l’attenzione: l’Artista di Quartiere traccia un percorso obbligato che si lega indissolubilmente alle necessità del territorio.
Nella relazione con “l’altro” l’artista è chiamato ad assumere un punto di vista simile a quello dell’etnologo che studia una società primitiva sconosciuta, deve imparare a non dare nulla per scontato e a interrogarsi sul significato di pratiche e rituali della vita quotidiana: l’ordine sociale rivela una natura fluida, negoziata e costruita giorno dopo giorno dai tanti soggetti che si relazionano uno con l’altro.
È questo radicamento dell’agire dell’artista sul territorio che porta alla creazione di una nuova figura dalle connotazioni ibride, per l’appunto l’Artista di Quartiere, un interprete empatico che traduce bisogni e necessità ed elabora un nuovo linguaggio contingente e quotidiano che si inserisce perfettamente nella società operando piccoli cambiamenti nella vita delle comunità di riferimento.
Si tratta di interventi microsociologici che producono conseguenze positive sulla vita degli individui.
Poiché alle regole (alle pratiche e ai rituali) è affidata la nostra percezione della solidità della vita di ogni giorno, queste devono essere certe e chiare, ma le regole in una società che sta cambiando velocemente sono scombussolate, non sono più univoche perché appartenenti a comunità differenti e anche molto lontane tra loro. Tutto ciò genera insicurezza.
L’Artista di Quartiere utilizza lo strumento dell’arte per la creazione di un nuovo mondo, fatto di nuove pratiche nate dall’intersecarsi delle vite. È dunque un’azione dalle molteplici sfaccettature quella che egli compie: si relaziona, interpreta, media e infine realizza l’opera, quella che porta l’attenzione sul territorio e che genera cambiamenti, quella che ci cambia intimamente anche quando non ne siamo consapevoli, quella in continuo mutamento perché nata dalla relazione con la vita: l’Opera Viva. (by Ginevra Pucci)
Alessandro Bulgini Alessandro Bulgini
foto: Alessandro Bulgini, Taranto Opera Viva, decoro urbano su relitto in Mar Piccolo