collettivo culturale tutomondo Alejandro González Iñárritu babel
Babel è un film del 2006 diretto da Alejandro González Iñárritu
Alejandro González Iñárritu (Città del Messico, 15 agosto 1963) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico messicano, vincitore di quattro Premi Oscar, quattro Golden Globe, tre BAFTA e due David di Donatello.
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Babel è un film del 2006 diretto da Alejandro González Iñárritu. Con questo film si chiude la cosiddetta Trilogia sulla morte che include anche i film Amores perros e 21 grammi. Il film ha vinto il Premio alla miglior regia al Festival di Cannes 2006.
Scritto – come i precedenti Amores perros e 21 grammi e non dissimile nella costruzione a incastro – dal romanziere Guillermo Arriaga, è un magnifico e dolente affresco in 3 continenti e con 3 atmosfere diverse, splendidamente fotografato da Rodrigo Prieto, sulla solitudine e sui confini – geografici, culturali e psicologici – che la generano; sulla cognizione del dolore; sul destino dell’uomo e sulla difficoltà della comunicazione (cui fa riferimento il titolo biblico); sui sentimenti che possono unire o dividere.
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Alejandro Gonzales Inarritu è uno di quei registi che amano colpire dritto allo stomaco i propri spettatori.
Come i precedenti “Amores perros” e “21 grammi” anche l’ultimo “Babel” è un film spietato, crudo, desolante e desolato, e nel medesimo tempo splendido, appassionante, esaltante ed emozionante. Come la vita d’altronde, quella vera.
“Babel” è proprio un ragionamento sulla vita, sull’esistenza di ognuno di noi, sul caso, sul destino, sugli uomini, sulla loro difficoltà nel comunicare, sulle distanze, reali o solo immaginate, volute, o subite.
Inarritu costruisce un film corale intrecciando le esistenze di diverse persone in un modo talmente casuale da risultare quasi scritto.
Siamo in Marocco, una guida vende a una famiglia di pastori un fucile che servirà loro per allontanare gli sciacalli che minacciano il proprio gregge. Una baby-sitter messicana bada ai figli di una coppia (Pitt, Blanchett) che sta affrontando un viaggio proprio in Marocco, mentre in Giappone un padre tenta di rimettere in sesto la vita della propria figlia sordomuta.
Queste in sintesi le quattro realtà che affollano il mondo di “Babel”, un mondo (quello moderno) ormai completamente globalizzato, anche se solo in apparenza. I diversi personaggi vivono lontanissimi gli uni dagli altri, ma è come se vivessero un’esistenza unica; tramite queste quattro storie Inarritu ci racconta (o almeno tenta di raccontarci) una stessa vita, uno stesso mondo.
I personaggi del suo film sono più vicini di quanto possa sembrare, respirano la stessa aria, vivono lo stesso tempo, gioiscono e soffrono insieme. “Babel” è un film sul caso è vero, sulla casualità della vita, ma è anche un film che riflette sui rapporti interpersonali, sulle distanze che separano un uomo dall’altro.
Inarritu gioca con le vite dei propri personaggi, le fa intrecciare, le fa esplodere in silenzio (strepitoso, per esempio, lo stacco tra il dolore assordante di Cate Blanchett e il silenzioso mondo di Chieko), le mette in scena e osserva quel che ne consegue, naturalmente.
E’ un film sull’incomunicabilità “Babel”, rappresentata sia a livello mondiale (l’impossibilità di comunicazione tra due nazioni) sia a livello personale, intimo, in quella che è forse la storia più bella, quella di Chieko e di suo padre, vittime e artefici al medesimo tempo del muro invisibile che viene a crearsi tra loro (e tra loro e il mondo circostante).
E allora, all’interno di questa torre di Babele che è la vita stessa ognuno è solo sembra suggerirci Inarritu: il dolore, come la gioia sono dietro l’angolo, è questione solo di riuscire a vederli, apprezzarli. (by nike22)