cctm collettivo culturale tuttomondo Susan Sontag (USA)
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La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci solo del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese.
Susan Sontag
da Malattia come metafora, Einaudi, 1992
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foto: Susan Sontag by Annie Leibovitz, 1991 – fair use
Susan Sontag (New York, 1933-2004) è stata un’intellettuale, scrittrice, regista e attivista politica statunitense.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo Viaggio a Hanoi (Bompiani, 1969), Contro l’interpretazione (Mondadori, 1998), Io, eccetera (Mondadori, 2000), Malattia come metafora (Mondadori, 2002) e Sulla fotografia (Einaudi, 2004).
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Quando, alla fine degli anni ’70, Susan Sontag si ammala di cancro, scrive in fretta (visto il pessimismo dei medici) uno dei suo saggi più importanti, Malattia come metafora (1978), in cui annota una serie di riflessioni sulla storia culturale della malattia.
Attraverso un accostamento tra le metafore utilizzate per descrivere la tubercolosi in epoca romantica e il cancro in quella odierna, basandosi anche sulla propria esperienza di malata, la Sontag cerca di smontare tutto quell’apparato di “interpretazioni”, di stereotipi e di significati morali aggiunti che si sono depositati su certe malattie divenute metafore gravide di (pre)giudizi sociali, i quali finiscono col pesare sul malato quanto se non più della malattia stessa, compromettendone con sensi di colpa artefatti le possibilità di guarigione. Il malato è infatti spinto a vivere la malattia come una colpa, una conseguenza dei suoi errori, una punizione e un castigo persino, e quindi a tenerla nascosta, a vergognarsene, a non affrontarla con la necessaria determinazione.
Susan Sontag custodì gelosamente la sua vita privata. Gli ultimi vent’anni circa li passò facendo coppia con la celebre fotografa Annie Leibovitz, ma non fece mai della sua omosessualità un fatto pubblico.
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