centro cultural tina modotti Stefania Diedolo (Italia)
di Stefania Diedolo (Italia)
Sono sempre stata solitaria, lievemente asociale, forse a causa di quell’ombra irraggiungibile che accompagna ogni mio sorriso.
Godo di una solarità che ha un retrogusto lunare, bifasico, un marchingegno poco comprensibile, non direi ambiguo, ma certamente intellegibile. Imparai a parlare da sola e conservare sogni e talenti come fossero oro a sette anni. Non mi vedevo per ciò che ero, ma se parlavo con gli altri le loro intenzioni collimavano di rado con le mie e nel tempo scelsi alleati sicuri come i muri, gli angoli, gli spazi poco affollati.
Il mio spirito è così vecchio che a dieci anni conoscevo già l’apatia e il senso di colpa, sapevo che la vita mi avrebbe chiesto il conto continuamente e le salite sarebbero state più delle discese. Me lo sentivo addosso, un po’ come il cappotto rosso che avevo ereditato da mia cugina e pesava sulle spalle come una coperta di lana fuori stagione.
Chi pensa che sono indistruttibile non vede l’impalcatura che ho costruito giorno per giorno, mese per mese, anno su anno. La fragilità che tanto amo andava preservata, dai compagni di classe, le catechiste, gli insegnanti. Tutto sarebbe stato immensamente grande solo osservato dal di dentro, l’esterno non l’ho mai saputo coltivare come un deterrente o un incentivante alla simpatia, l’attrazione erotica, il dissenso.
Ero nata sola, vivevo sola e mi sentivo sola anche tra la gente, molto più inconsapevolmente di quanto lo fossero gli altri.
Molto più che onesta, quasi spiazzante.
La mia compagna di vita si chiama malinconia, tutto di me odora di lei, dall’educazione al rispetto per le situazioni, le responsabilità. Sono stata una bambina anziana e sono una donna già vecchia, non mi costa niente ammetterlo e mi arricchisce saperlo. Un giorno imparerò a parlare agli umani come faccio con gli animali, con loro non ho mai paura d’essere fraintesa, non devo tristemente rispondere a domande fuori luogo, pretese fuori margine d’assoluzione. Un giorno questa trasparenza diverrà materia e le rose del mio giardino interiore fioriranno anche d’inverno, me ne andrò via da ciò che tortura e non tornerò mai più.
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di Stefania Diedolo (Italia)
Siempre fui solitaria, levemente asocial, quizás a causa de esa sombra inalcanzable que acompaña mi sonrisa.
Gozo de un brillo que tiene un retrogusto lunar, bifásico, un artilugio poco comprensible, no diría ambiguo, pero ciertamente inteligible. Aprendí a hablar por mí misma y guardar sueños y talentos como si fueran oro a los siete años. No me veía por lo que era, pero si hablaba con los demás sus intenciones raramente coincidían con las mías y en el tiempo escogí aliados seguros como muros, las esquinas, los espacios poco atestados.
Mi espíritu es así de viejo que a los diez años conocía ya la apatía y el sentido de culpa, sabía que la vida me habría pedido la cuenta continuamente y las subidas habrían sido más que las bajadas. Me lo sentía encima, un poco como el abrigo rojo que había heredado de mi prima y pesaba sobre los hombros como una cobija de lana fuera de estación.
Quien piensa que soy indestructible no ve el andamio que he construido día a día, mes a mes, año sobre año. La fragilidad que tanto amo había que preservarla, de los compañeros de clase, los catequistas, los maestros. Todo habría sido inmensamente grande solo si observado desde adentro, el exterior nunca supe cultivarlo como un disuasivo o un incentivo para la simpatía, la atracción erótica, el disenso. Había nacido sola, vivía sola y me sentía sola también entre la gente, mucho más desavisada de cuanto lo fueran los demás.
Mucho más que honesta casi desequilibrante.
Mi compañera de vida se llama melancolía, todo en mí a ella huele, de la educación al respeto por las situaciones, las responsabilidades. He sido una niña ya vieja, no me cuesta nada admitirlo y me enriquece saberlo. Un día aprenderé a hablar a los humanos como hago con los animales, con ellos nunca tengo miedo de ser malinterpretada, no tengo tristemente que responder a preguntas fuera de lugar, pretensiones fuera del margen de la absolución. Un día esta transparencia se volverá materia y las rosas de mi jardín interior florecerán también en invierno, me iré de lo que tortura y no volveré jamás.
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Traduzione: Centro Cultural Tina Modotti
illustrazione Lilliana Comes