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René Daumal (Francia)

05/11/2022 By carlaita

collettivo culturale tutomondo René Daumal (Francia)

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_
Sono morto perché non ho il desiderio,
non ho desiderio perché credo di possedere,
credo di possedere perché non cerco di dare.
Cercando di dare, si vede che non si ha niente,
vedendo che non si ha niente, si cerca di dare se stessi,
cercando di dare se stessi, si vede che non si è niente,
vedendo che non si è niente, si desidera divenire,
desiderando divenire, si vive.

Je suis mort parce que je n’ai pas le désir,
Je n’ai pas le désir parce que je crois posséder,
Je crois posséder parce que je n’essaye pas de donner ;
Essayant de donner, on voit qu’on n’a rien,
Voyant qu’on n’a rien, on essaye de se donner,
Essayant de se donner, on voit qu’on n’est rien,
Voyant qu’on est rien, on désire devenir,
Désirant devenir, on vit.

René Daumal

_

immagine: Patrizia Impagnatiello

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René Daumal (Boulzicourt, 1908 – Parigi, 1944) è stato un poeta, scrittore e filosofo francese.

René Daumal ebbe due ossessioni, una consequenziale all’altra: la poesia e la morte. La poesia era per lui un fatto serissimo, una questione di vitale importanza: la ricerca della Parola Unica, della Cosa-da-dire; la poesia, l’unica poesia che abbia un vero senso – la poesia bianca – è fatta esclusivamente di «parole di verità», pensava Daumal. E questa Parola Unica è inevitabilmente una «parola impronunciabile» poiché deve emergere, deve germogliare come un seme dal silenzio, dal buio, dal vuoto (o se vogliamo dalla vacuità buddhista), deve passare attraverso l’esperienza della morte. Morte che non è fisica, non è quella del corpo ma negazione dell’Io e della sua immagine falsa, del suo “apparire” – diremmo forse oggi. Solo morendo metafisicamente, prima che sopraggiunga la morte definitiva, il poeta può davvero raggiungere il proprio Sé e lavorare strenuamente alla ricerca della Verità.

Il 1936 è un anno essenziale per René Daumal. Innanzitutto, è l’anno della pubblicazione di Le Contre-Ciel (in uscita, per la prima volta in italiano, nella versione di Damiano Abeni, per Edizioni Tlon), l’unico libro di poesia dell’autore e il primo dei soli due testi che vide pubblicati in vita. Questa pubblicazione segna la fine di un percorso – una morte – e l’inizio di un nuovo cammino che lo porterà ad allontanarsi da tutto quanto aveva vissuto fino a quel momento per intraprendere la perigliosa salita al Monte Analogo.

Ed è nel 1936 che Daumal scriverà: «Le ultime parole del poeta», un breve testo, rappresentativo di tutta la sua poetica fino a quel punto e paradigmatico di quanto seguirà, nella sua vita e nella sua opera, da lì e in avanti fino alla sua prematura morte, otto anni dopo. Si tratta di una prosa lirica che, raccontando di un poeta condannato a morte, cui viene concesso di dire la sua ultima poesia, parla appunto della poesia in generale. Della Poesia Unica, dell’unica parola che valga la pena pronunciare. «Non ho che una parola da dire, una parola semplice come il fulmine», poiché quella Cosa-da-dire corrisponde al seme da cui può nascere la Verità.

Eppure, ci dice Daumal, «La poesia non ascoltata è un seme perso», «se la poesia è un frutto, il poeta non è un albero. Vi chiede di prendere le sue parole e di mangiarle all’istante. Poiché non può, da solo, produrre il proprio frutto». Dobbiamo essere noi a mangiare la Poesia Unica e farla attecchire dentro, questo è il grande lascito di René Daumal: darci la responsabilità assoluta di raccogliere il suo insegnamento immane per non lasciarlo imputridire con il suo corpo. Ci offre una possibilità, una direzione, un’indicazione misterica e silenziosa – l’unica possibile – della via da seguire per raggiungere la Verità, la cima del Monte Analogo, la poesia bianca, il vero senso della nostra vita.

Così, l’ultimo grido del poeta, prima della fine, esprime tutti i timori intimi di René, la sua urgenza di ricerca, il suo bisogno estremo di morire per ritrovarsi, per risorgere nella conoscenza e nell’illuminazione del seme fattosi albero, fattosi uomo, divenuto poeta e infine maestro.

Raccogliete queste parole, che non siano un seme perduto!
Covate le mie parole, fatele crescere, fatele parlare!.

by Andrea Cafarella

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Ringraziamo la nostra cattiva coscienza che ci fa Ringraziamo la nostra cattiva coscienza che ci fa vivere il falso proprio come fosse vero.
L’assenza totale di responsabilità cui stiamo assistendo sposta fa vita in una dimensione più leggera. Non essendo più responsabili di niente siamo in pace con noi stessi. I nostri comportamenti sono sempre confortati da qualche inconfutabile giustificazione.

(Giorgio Gaber, Aforismi, 
Re Nudo - n. 1, p. 11, 1996)
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Non so chi ha detto che nella pura attività del g Non so chi ha detto che nella pura attività del guardare c'è sempre un po' di sadismo. Ci pensai ma non mi venne in mente, però sentii che c'era qualcosa di vero in quella frase: così guardai con maggiore voluttà, con la perfetta sensazione di essere solo due occhi che guardavano mentre io ero altrove, senza sapere bene dove.
Antonio Tabucchi

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Niente così difficile da capire come il cuore. Lo Niente così difficile da capire come il cuore.
Lo sanno i cardiologi, lo sanno i poeti.
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foto Ja-shang Tang
Mi sono seduto anche a tavole sontuose dove i bicc Mi sono seduto anche a tavole sontuose
dove i bicchieri vanno secondo i vini
e uomini di molto più eleganti
s'aggirano a servire le pietanze.
Ma so meglio la tavola dove si strofina il fondo della scodella
con il pane e le dita arruginite
mensa di panche basse a mezzogiorno
di fiati vergognosi di appetito.
Non bisbiglio di commensali a commerntare il pasto
ma di gole indurite che inghiottiscono
per rimettere forza di lavoro
e non portano eretti alla bocca la posata
ma si calano sopra, adedentano a mezz'aria
per nascondere il magro del boccone
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