collettivo culturale tuttomondo Natalia Ginzburg Memoria
Memoria di Natalia Ginzburg (Palermo, 1916 – Roma, 1991)
Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,
se hai paura, nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
e allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.
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foto: Natalia Ginzburg
Natalia Ginzburg, nata Levi (1916-1991), è stata una scrittrice, traduttrice e drammaturga italiana, di primo piano nella letteratura del Novecento.
Ha rivestito anche cariche politiche. La sua vita è stata segnata da eventi storici difficili e pesantissime tragedie personali. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista, presto duramente colpito dal regime: il marito, il letterato Leone Ginzburg, morirà in carcere nel 1944, dopo essere stato mandato al confino in Abruzzo, con Natalia e i tre figli. L’intreccio di relazioni personali e culturali saranno soggetto del suo capolavoro autobiografico, Lessico famigliare (1963).
Il suo linguaggio è umile, come i titoli dei suoi romanzi. I personaggi sono messi a vivo nei gesti e nelle semplici parole, attraverso lo sguardo di una donna. (by Giulio Ferroni)
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