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La fabbrica delle caramelle di Marco Armando Ribani (Italia)
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Mia madre trovò casa con il naso. Seguendo l’odore delle caramelle.
Quando scoprì la fabbrica ritornò la bambina che era e si accucciò nell’ erba.
Aveva quindici anni ed era madre di me che le stavo accanto.
A bocca aperta. Per respirare un vento che sapeva di favola e zucchero.
Mia madre aveva il viso duro della guerra gli occhi eran fenditure il naso era una crepa
e la bocca uno spiraglio. Alla guerra si sopravvive per ostinazione
costruendosi un bunker interiore scioperando lo sguardo
con un coprifuoco che oscura i sentimenti.
Dunque questa era la pace. Silenzio appena rotto dalle voci. E l’aria che sa di fragola, di menta.Non avendo altro modo io piansi. Non avendo altro modo lei pianse.
Dunque fu in quel prato che scoprimmo che si può piangere di pace e di dolcezza.
Ma il pianto che distende porta fame e una fitta ci colse un palmo sopra l’ombelico.
Così mia madre quasi di corsa entrò dal cancello nella fabbrica e trovò un uomo con una tuta blu.
Le uscì solo “Ho fame” dallo spiraglio del viso scolpito nella pietra.
Anche l’uomo faceva esercizio di silenzio. Un cenno solo prima di sparire. Aspetta.
Su quella porta l’odore era più forte. Inebriava.
Dentro si sentiva un temporale di dolcezza, una grandine di caramelle, un fruscìo di zucchero filato, nuvole di vaniglia, cirri d’arancio, nembi di limone.
Ci ubriacava l’anice.
Quando l’uomo tornò barcollavamo.
Aveva in braccio un sacchetto grosso come quelli per il pane
“Tieni” disse a mia madre ” sono gli scarti le caramelle rotte è roba buona”
Mia madre fece un passo indietro come per difesa.
Le braccia dell’uomo allungarono il tesoro che era almeno un chilo.
Mia madre allungò le sue di braccia e strinse al petto quel paradiso caldo.
L’uomo le fece una carezza sui capelli corti e lei
con un gesto di bambina si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò sul viso.
“Torna “ le disse l’uomo “le tengo per te” Ma lei di corsa era dall’altraparte della strada.
Come un animale dopo il cibo cercava ora una tana.
Entrammo nel portone di una casa bombardata. Sedemmo sui gradini a mugolare.
Lei ne mangiava una e una me la dava.
Poi sazi ci guardammo o forse io dormivo e mia madre fece un giro intorno.
Vide così che la bomba si era portata via le scale come per un dispetto
Ma il resto della casa era come intatto.
Salì da una finestra e quella rovina le parve una casa di regina.
Cucina, bagno e due stanzette. Al centro un fornelletto.
All’inizio voleva rubacchiare qualche cosa. Una pentola, un mestolo un vestito.
Poi fu come fulminata. Mi chiamò a gran voce.
Mi svegliò e io vidi per la prima volta che il viso suo era carne. Carne rossa e rosa.
Mi prese in braccio e s’involò per la campagna. Gridava in dialetto e perdeva caramelle.
“Mama a i ò truvè ‘na cà” Il grido precedette la presenza.
Mia nonna uscì da quella sorta di pollaio che era casa nostra.” Csa i el?” “A i ò truvè ‘na cà”
“Corri va a chiamare il nonno, che trovi un furgoncino” “Dov’è?”
“Dove vuoi che sia, quello lo trovi sempre all’osteria”
“Dì che chieda il birroccio al suo padrone.”
Tornò trainando il nonno sul carretto che ubriaco cantava e bestemmiava.
Cominciarono a caricare la mobilia. Un tavolo sbilenco. Una vetrina.
Delle casse di frutta con gli abiti di stracci. E poi un cesto grande che era la mia culla.
Mio nonno fu agganciato come a un basto.
Loro le donne a dire il vero spingevano anche il nonno che davanti cantava l’internazionale
e io facevo musica col dito mentre ero già promosso custode delle caramelle.
Arrivammo verso mezzogiorno ben cotti sotto il sole. Mio nonno fece una magia.
Costruì con poco una scaletta che arrivava alla finestra.
Si entrò. Io per secondo. E poi il cesto. Fui il primo ad esser sistemato.
A sera facendo la somma delle cose la casa era abitata. Si fece una gran festa.
Si mangiarono maccheroni coi piselli.
E poi un coniglio che – mi spiegò mio nonno- nello spirare aveva fatto miao.
Anche mia madre forse era un pò brilla. Perchè cantò .
Io respiravo piano. Un’ aria di cannella. Di colpo la mia vita era cambiata. Ero un bambino ricco. Che respirava aria profumata. Imparai presto ad andare oltre il cancello.
C’era sempre l’uomo con la tuta. Mi porgeva il sacchetto e poi chiedeva: “Come sta tua madre?”
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La fabbrica delle caramelle di Marco Armando Ribani
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opera: Jeanie Tomanek
Marco Armando Ribani
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