cctm collettivo culturale tuttomondo lettere dalle case chiuse
Signora Senatrice,
Il suo progetto di chiusura delle case di tolleranza ha trovato molta favorevole accoglienza negli ambienti interessati: vale a dire in «quelle case» delle quali purtroppo sono ospite anch’io.
Finalmente una speranza è entrata nei nostri cuori e il nostro tormento di ogni giorno è sollevato dal pensiero che, presto o tardi (magari più presto di quello che pensiamo) saremo liberate e potremo tornare persone civili, con diritti pari a tutte le altre.
È facile giudicare quelle donne che fanno la miserabile esistenza: le stesse cose le pensavo anch’io quando ero una ragazzina e facevo le magistrali nella mia città. Bisogna provare però a restare sole per poter dire «ha fatto bene» oppure «ha fatto male».
Si dice tante volte in giro, io l’ho sentito spesso, che non siamo obbligate a entrare nella vita. Non è vero: siamo peggio che obbligate. Tante volte sono dei luridi sfruttatori che costringono a darsi al prossimo, tante volte è la fame, e altre volte è il bisogno di soldi per poter mantenere la famiglia, o i figli, o il marito malato, eccetera.
Ma sempre sono gli altri ad obbligarci a entrare in questi inferni, a ricevere 30-35 uomini al giorno, i vecchi sporcaccioni e i giovani infoiati, e quelli ubriachi, e quelli che gridano, e quelli che vogliono sentir parlare. Quasi tutta questa gente, che paga per averci, come bestie al mercato.
Perché, e per quanto dovremo sopportare questa vergogna?
Mi perdoni questo sfogo, Signora Senatrice, ma lei meglio di tutti ha dimostrato dì comprendere le nostre sofferenze.
Deve sapere che dormiamo negli stessi letti dove ogni giorno riceviamo i clienti e ogni notte è una tortura, quasi tutte abbiamo incubi e non possiamo dormire per ore e ore. E quando mi sveglio è peggio perché rivedo lo stesso letto, gli stessi mobili, ecc. ecc.
I padroni sono degli sporchi individui, i mezzani sono peggio di loro, e alcune colleghe sono delle vere e proprie pervertite che vanno dietro con le loro voglie alle altre ragazze.
E anche da queste bisogna difendersi.
Non ne posso più, è mille volte meglio far la fame piut tosto che rimanere ancora in questi posti. Purtroppo per molte non è facile liberarsi da quegli sfruttatori che ci hanno legate a questo mestiere. Una volta prese si rimane incatenate finché si ha forza e salute, poi si è buttate via come stracci. Ma lei deve spezzare questa catena. Vogliamo tornare ad essere donne come le altre, e che ci assicurino un lavoro onesto e non una carità. Faccia sapere quando press’a poco saranno chiuse tutte le «case». Io e le mie compagne gliene saremo grate per sempre.
segue il nome
e quattro ospiti della casa di via […]
M., 15 luglio 1949
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immagine: copertina del libro Lettere dalle case chiuse, Edizioni Avanti! , Collana del Gallo 1955
Rileggendo le molte lettere, la maggior parte non anonime, che ricevette Lina Merlin “dalle case chiuse” si spalanca una porta sulla realtà di miseria e di desolazione morale dell’Italia del dopoguerra che coinvolgeva alcune migliaia di donne e i loro figli in una sorta di ghetto sociale da cui era assai arduo uscire.
Le lettere di consenso che riceve Lina Merlin offrono, in un lessico semplice e con drammatica chiarezza, argomenti assai convincenti. In questi scritti affiora non solo la volontà di non essere più oggetto di sfruttamento nei postriboli controllati dallo Stato, ma soprattutto la speranza di ritrovare una vita normale mettendosi alle spalle tutte le ignobili vessazioni burocratiche e le regole discriminatorie che impedivano l’esercizio dei più elementari diritti civili come il lavoro o il matrimonio con pubblici dipendenti.
Ma le curatrici del libro hanno pubblicato anche lettere contrarie alla soppressione delle “case chiuse”.
A parte quelle offensive o inutilmente polemiche contro la “moralista” Merlin, ve ne sono alcune che pongono questioni tutt’oggi aperte. Alcune donne rivendicano il diritto di svolgere la loro attività come una professione, altre esprimono forte preoccupazione sulle conseguenze dell’approvazione della legge in discussione e non credono che le cose possano cambiare, anzi temono un peggioramento delle loro condizioni. Queste ultime lettere oggi devono far riflettere. La Senatrice socialista, che fin da giovane fu a fianco di Giacomo Matteotti nella lotta antifascista, subì il confino, partecipò alla Resistenza e fu eletta all’Assemblea Costituente formulando l’articolo della Costituzione che garantì la parità tra uomo e donna. Con la sua proposta di legge, non si illudeva di abolire la prostituzione, ma voleva abolirne lo sfruttamento, a maggior ragione da parte dello Stato. Dal 1958 tutti i governi, di qualunque colore fossero, i Parlamenti e le forze politiche, hanno sempre assunto la linea della tacita tolleranza dello sfruttamento della prostituzione.
A quasi sessant’anni dall’entrata in vigore della legge, si può affermare che l’eredità del lavoro di Lina Merlin sia stata tradita. Le barriere burocratiche che imprigionavano le abitanti delle “case chiuse” sono state abbattute ma la lotta allo sfruttamento della prostituzione oggettivamente segna il passo. Naturalmente non stiamo parlando di chi sceglie liberamente di prostituirsi. Il fenomeno del lenocinio organizzato ha cambiato aspetto, ma la realtà è spesso di gran lunga peggiore del passato. Qualche sindaco ha pensato di porre rimedio attraverso sanzioni a carico dei “clienti”. Da sola questa misura toglierebbe le persone dalla strada ma non eliminerebbe lo sfruttamento. Al di là degli aspetti culturali e ambientali serve qualcosa che produca un impatto concreto nel perseguire tutti coloro che traggono illeciti benefici dal mercato del sesso. Ma questa è una decisione politica che richiederebbe l’impiego di risorse ed energie da parte delle istituzioni, se questo obiettivo è considerato una vera priorità. Sarebbe significativo che, a partire dalle associazioni impegnate sul fronte femminile che rivendicano la centralità della questione femminile o di “genere”, si avviasse un confronto per giungere a proposte concrete. Significherebbe raccogliere il testimone di Lina Merlin per dare continuità al suo impegno politico e civile.
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Walter Galbusera Presidente della fondazione Anna Kuliscioff – introduzione al reprint del volume edito dalle Edizioni Avanti! – Collana del Gallo 1955 – copertina Albe Steiner
immagine: copertina del libro Lettere dalle case chiuse, Edizioni Avanti! , Collana del Gallo 1955 – cctm donne