cctm collettivo culturale tuttomondo Ernst Jünger (Germania)
Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo.
Ernst Jünger
foto: Marta Orlowska – fair use
“Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo”. È una frase di Ernst Jünger in cui si sottolinea il ruolo dell’autenticità.
È vero che, anche se in modo pressoché inconsapevole, si può vivere secondo regole di vita fissate da altri.
Lavoriamo sodo sul posto di lavoro, perché la società si aspetta che noi lo facciamo; non dedichiamo troppo tempo al divertimento, perché pensiamo che la gente ci giudicherebbe frivoli, ecc.
Il risultato è che finiamo con l’essere ansiosi e col condurre vite che non ci soddisfano pienamente.
Fondamentalmente in ognuno c’è una tendenza a condurre una vita autentica, libera dai condizionamenti. Perché, allora, conseguire una vita autentica non è immediato?
Una serie di fattori può essere d’ostacolo: la mancanza di autostima, per esempio o il conformismo, la pressione ad agire secondo regole fissate non da noi e/o solo parzialmente condivise.
L’autenticità non è una qualità che si ha o non si ha. È, piuttosto, una scelta che riflette il modo in cui vogliamo vivere. È la decisione quotidiana di essere onesti con noi stessi, di abbracciare la propria vulnerabilità e di non preoccuparsi troppo di ciò che pensano gli altri. Siccome essere autentici è una scelta, attuabile più o meno, non bisognerebbe sentirsi in colpa se alcuni giorni avvertiamo la stanchezza del cammino che abbiamo davanti.
In effetti, un nemico dell’autenticità è il perfezionismo. In breve, si tratta della credenza che, se noi sembriamo perfetti e viviamo perfettamente, allora saremo in grado di proteggere noi stessi dalle critiche, dai giudizi degli altri o anche dalla vergogna. Ciò che è sbagliato non è il tentativo di migliorarsi, ma piuttosto di conformarsi agli altri. Dal punto di vista emotivo, tale atteggiamento è tossico, perché fa dipendere la considerazione che abbiamo di noi dall’approvazione o dal rifiuto degli altri.
La mente del perfezionista non riconosce queste trappole. Succede così che ogni volta che inevitabilmente si fallisce ad ottenere la perfezione, il perfezionista condanna se stesso per la sua incapacità e si impone di fare meglio, sempre meglio, indipendentemente se questo sia effettivamente possibile.
Sottrarsi a queste trappole comporta di non lasciare che l’opinione degli altri sia la nostra motivazione. Soprattutto, qualsiasi cosa derivi dalle nostre azioni, che sia successo o fallimento, essi non riguardano in alcun modo la nostra individualità essenziale, ciò che di più intimo siamo. (by Giovanni Scarafile)
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