collettivo culturale tuttomondo Non ti voltare!
Per tutto il 2022, il 25 di ogni mese, Bebe Vio ha ricordato in radio che ogni giorno è il 25 novembre, che il problema della violenza di genere riguarda tutti e che nessuno si deve voltare dall’altra parte.
Per un anno, Sorgenia ha raccolto in podcast storie di donne e violenza raccontate da chi era loro vicino.
Ne è nato un e-book e un evento: NON TI VOLTARE!, al cinema Odeon di Milano il 24 novembre 2022.
In vista di quella data, Sorgenia ha utilizzato tutti gli spazi di un intero treno della metropolitana milanese per sensibilizzare, coinvolgere e raccogliere fondi.
Per ogni download dell’e-book, infatti, 1 euro andrà a Pangea Onlus per il progetto Reama, rete online antiviolenza.
Una campagna lunga dodici mesi che, ancora una volta, ha fatto perno sul concetto #sempre25novembre che distingue ormai da 4 anni le tante iniziative di Sorgenia contro la violenza di genere.
_
La storia di Marta – da Non ti voltare! – La violenza sulle donne riguarda tutti
Sono Marta. Marta di Pangea, tutti mi conoscono così, tanto la mia vita e quella di Pangea sono intrecciate.
Racconto per lavoro le storie di altri. Questa volta, questa è la mia storia. Vivo nella ricca e operosa Brianza da anni, in un bel quartiere in cui i condomini hanno giardini ordinati e le persone si salutano con quella fretta cordiale che a volte sembra indifferenza, più spesso solo riservatezza.
Mi sono trasferita non molto tempo fa, sola con il mio cane, in un bel condominio. Mentre organizzo il trasloco mi godo la brezza primaverile e penso a come sono fortunata ad avere trovato questo posto tranquillo: una palazzina piccola e curata in cui io sono l’unica a vivere sola; oltre al mio ci sono cinque altri appartamenti, abitati da giovani coppie o belle famiglie con bimbi piccoli.
Sto portando le ultime scatole nella mia nuova casa quando, passando davanti all’appartamento esattamente sotto il mio sento due voci: parole forti, un litigio molto acceso, che non accenna a terminare. Mi colpiscono le parole e i toni, perciò incontrando gli altri condomini sulle scale cerco di incrociare i loro sguardi, per capire se sono sorpresi o se invece sono abituati, se queste urla sono diventate una consuetudine. Le persone che incontro abbassano lo sguardo, non riesco a incrociare i loro occhi, e capisco subito che sto assistendo a un episodio consueto.
Con il tempo cerco di capire meglio, magari di incontrare le persone che ho sentito: apprendo che dietro quella porta c’è una famiglia di quattro persone, un padre che è un imprenditore di successo spesso in trasferta per lavoro. Le sere in cui è a casa sono quelle in cui dal mio salotto, che è proprio sopra il loro, sento le parolacce, le offese e a volte le minacce. Sono tutte parole rivolte alla moglie, ma i bambini? Sicuramente stanno sentendo tutto… e mi fa male pensare come questo influenzerà la loro vita.
La casa è il luogo sicuro per eccellenza. Quando la sera chiudo la porta del mio appartamento, mi sento bene, perché quello è il mio posto. Mi soffermo a pensare cosa significa chiudere la porta di casa e avere paura. La notte, col buio, temere che accada qualcosa di terribile.
Cosa si prova quando la tua casa è una prigione? Quando entri e ti manca il respiro? Quando sai già che succederà qualcosa, che per quanti sforzi tu abbia fatto per far trovare la casa a posto, i bambini in ordine e sorridenti, qualcosa non andrà bene, sarà colpa tua la minima imperfezione e soprattutto sarà motivo di rabbia?
Una rabbia dura, chiusa, che si sfoga su di te. Qualsiasi cosa tu faccia, la rabbia arriverà, perché non dipende da te.
Pensando a tutto questo decido di aprire la porta, una sera in cui le urla sono più forti, e di uscire sul pianerottolo chiedendo ad alta voce se tutto va bene, se c’è bisogno di aiuto.
Sono sconvolta dal fatto che mentre io apro la porta sento le chiavi girare nelle serrature degli altri appartamenti e capisco che alcuni condomini alzano il volume della tv per non sentire.
Allora sono io che urlo in una riunione condominiale, sembro disperata e forse in parte lo sono. Urlo che sono l’unica che vive da sola, che esco a orari improbabili per lavoro e per portare fuori il mio cane. Eppure, sono l’unica a non far finta di niente. Chiedo alle persone come possono voltare la testa, come possono fare finta di niente davanti alla paura di una donna, davanti alla violenza che esce da una casa così vicino a noi.
La violenza non è più solo in quella casa. È a casa di tutti noi, perché abbiamo sentito, sentiamo quasi ogni sera e non possiamo continuare a fare finta di nulla. Siamo complici.
Nessuno mi segue.
Hanno tutti paura.
“Marta, non ti intromettere…”, “Marta, ma lui è un imprenditore stimato, cosa possiamo fare?”, “Marta, forse, se la moglie fosse più attenta alle sue esigenze… lui lavora molto, sarà stanco e stressato”.
Ho capito che sono sola anche io.
E penso a quanta solitudine deve aver provato Maria, la donna dell’appartamento sotto il mio. La violenza spaventa, e la paura si appiccica addosso, ti circonda e ti ritrovi sola.
Il vuoto intorno alla persona che vive una condizione di violenza è la più grande arma di chi usa la violenza.
La seconda è il giudizio: nella riunione di condominio ho sentito più persone giudicare Maria, quasi fosse colpevole di aver turbato una palazzina tranquilla con la sua paura. Non ho sentito nessuno giudicare il marito, che anzi mi pareva si cercasse di giustificare.
Una sera, dopo più di un’ora di urla, Maria ha trovato il coraggio, oppure si è sentita così disperata da superare la paura e la vergogna e uscire sul pianerottolo per chiedere aiuto. Sono scesa subito, ero pronta, stavo ascoltando da diversi minuti. Sono scesa mentre le altre porte si chiudevano a doppia mandata. Il marito mi ha guardato negli occhi e l’ha colpita davanti a me. Un solo schiaffo, secco, bruciante, in pieno viso, e poi l’ha trascinata di nuovo in casa, dove sentivo i bambini piangere.
Quello schiaffo ha bruciato anche sul mio viso; perché colpendo Maria davanti a me, suo marito vorrebbe estendere il suo potere anche su di me, presupponendo che tanto io starò zitta come tutti, non farò niente.
Mi sono precipitata nel mio appartamento, e con il fiato ancora corto ho chiamato i carabinieri. Sono arrivati in breve, ma Maria non ha denunciato.
Il giorno dopo in caserma, l’appuntato che ascolta la mia testimonianza sospira: “Sa, signorina, in trent’anni è la prima volta che un vicino sente qualcosa. Di solito i fascicoli dei vicini nelle denunce sono vuoti”.
Mentre torno a casa schiaccio le foglie secche con le scarpe perché sono frustrata. Perché tutti voltano la testa? Perché si tappano le orecchie? La paura, certo… ma se fossimo tutti insieme potremmo facilmente cambiare le cose. Se vedi, se senti e scegli di fare finta di niente, sei un complice. Sempre. Ho giurato a me stessa durante il tragitto di ritorno dalla caserma che avrei trovato il modo, avrei rotto quel muro di solitudine intorno a lei.
Una mattina mi sono accorta che il marito era uscito presto, Maria accompagna da sola i figli alla fermata dello scuolabus.
Esco di casa di corsa e le infilo in mano un biglietto che tengo da tempo attaccato alla porta di ingresso con una vecchia calamita. La guardo negli occhi, le metto il biglietto in mano e le dico solo “dopo distruggilo”.
È il contatto della rete antiviolenza di Pangea. Il progetto REAMA.
Dopo qualche giorno vengo a sapere che Maria ha scritto una mail: quando ti senti giudicata da tempo, quando ti sei sentita a lungo molto sola, una mail è più semplice, anche perché è rispettosa delle tue emozioni e dei tuoi tempi.
Maria inizia con quella mail un percorso con Pangea, le mie colleghe la aiutano a riconoscere la violenza che sta vivendo, a lasciar andare il senso di colpa e a liberarsi. Quando una donna esce da una condizione di violenza a volte è anche costretta a scappare dalla sua casa. Sembra una rifugiata che fugge dalla guerra. È incredibile scoprire quante guerre dentro casa ci siano in Italia. Quanto siano vicine a noi.
Io ho cambiato di nuovo casa, un altro trasloco mentre Maria compie il suo percorso, si trasforma: diventa più sicura di sé, più solida.
La incontro per caso dopo diverso tempo, ci riconosciamo.
Che bello Maria, vederti camminare a testa alta, che bello immaginarti giocare serenamente con i tuoi figli.
_
Marta (nome di fantasia per tutelare la privacy e la sicurezza di una persona reale) è un’operatrice di Fondazione Pangea Onlus, una organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne.
In particolare, il progetto REAMA di Fondazione Pangea Onlus è una rete nazionale che unisce più realtà sul territorio italiano e si occupa di prevenzione e contrasto della violenza domestica (psicologica, fisica ed economica) sulle donne e sui loro bambini, offrendo loro risposte concrete attraverso l’accoglienza, la protezione, l’assistenza legale e una fitta rete di servizi per accompagnarle fuori dalla violenza.
Inoltre, REAMA ha l’obiettivo di favorire un percorso di autonomia economica e lavorativa.
Sorgenia sostiene il progetto REAMA
Per Maria e per tutte le donne che vivono una condizione di violenza.
Perché possano tornare a splendere
_
collettivo culturale tuttomondo Non ti voltare!