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fusa e mascara di Angela Giulietti
Ho scoperto molto tardi cosa significhi davvero amare un gatto. Da piccola ebbi Leporello, che visse a lungo e felice, ma al quale forse non diedi più di tanto, essendo bambina.
A vent’anni io e mia sorella, appena andammo a vivere da sole, prendemmo Misha, una bellissima soriana dal musetto meraviglioso. Ma Misha non era il tipo di felino che si accontentava di piccole case da ragazze. Ne cambiammo tre, e in nessuna delle tre fu felice. Mi fece prendere più di uno spavento: si nascose per un giorno dentro il divano letto, e in seguito restò chiusa sotto il pavimento di una casa in costruzione, e dovettero arrivare i pompieri. Quando la ritrovai, entrambe le volte avrei voluto abbracciarla e coccolarla, ma lei non acconsentì. Se ne stava per conto suo, mangiava, dormiva, solo raramente chiedeva un po’ di carezze. Se tentavo di prenderla in braccio si agitava, e quando arrivavano ospiti soffiava e brontolava.
Odiava, in particolare, coloro che si fermavano a dormire, li rincorreva per fare loro agguati poco amichevoli.
Dopo otto anni, tentai di migliorare la sua indole lasciandola per un periodo in campagna da mia madre. E fui sconcertata dal suo cambiamento: era diventata tranquilla, docile, per niente rissosa.
Quello era il luogo dove avrebbe sempre voluto vivere, e fu lì che la lasciai. Mi dispiaceva, ma non sentii poi troppo la mancanza di una signorina introversa e bisbetica, che preferiva scalare gli alberi ai miei grattini. Quando io e mia sorella traslocammo per la quarta volta, tutti i nostri amici osservarono che nella nuova casa, nel verde e con due terrazze, ci sarebbe stato bene un gatto. Mi trovai d’accordo, e pensai: “Capiterà, prima o poi”. Nel momento preciso in cui, quella mattina di dicembre, incrociai gli occhi color miele di Boris, capii che avevo smesso di aspettare.
Era lui, il gatto che volevo. Un batuffolo bianco e rosso, col nasino un po’ schiacciato, zampotte tozze e pelo folto e luminoso. Chiesi alla coppia che lo aveva messo in adozione cosa non andasse in lui, e la risposta fu: -No, lui è perfetto. E’ solo che esige attenzioni continue, e noi abbiamo già figlio, cane, gatto e porcellino d’India. Non possiamo dedicarci a lui tutto il giorno, cerchiamo qualcuno che assecondi meglio il suo bisogno di affetto-. Non che fossi molto convinta di me stessa. Mi conoscevo: sono un’incostante, e aggiungiamo pure superficiale e sempre alla ricerca di novità.
Le cose, dopo un po’, mi stancano, e a volte anche le persone.
Sarei stata capace di amare quell’esserino per sempre, di fare sacrifici per lui, di regalargli sempre tempo e cure? Fu Boris, a rispondere, perché appena lo portai a casa mi ciucciò il mento, e sembrò che volesse dirmi: “Ah ah, ti ho incastrata! Ti farò vedere che se vuoi sai essere costante”.Dovetti dimenticare tutte le regole che avevo tentato di dare a Misha, perché Boris, dolcemente, fece un colpo di stato che cancellò tutta la mia legislatura.
Mi convinse a non chiuderlo in cucina perché dormire con lui era un’esperienza meravigliosa. Mi portò a scegliere luoghi per le vacanze in cui accettassero animali: non perché lui stesse male, dall’amica cui lo lasciai i primi due anni, ma perché a me mancava terribilmente, e non mi godevo nemmeno le ferie. E di colpo, io che non avevo mai avuto figli, né mi ero mai preoccupata troppo per gli altri, mi trovai a scegliere per lui crocchette di marca, a fargli fare movimento per impedire che ingrassasse, a precipitarmi dal veterinario al primo accenno di cistite, con un seguito di esami, controlli e cure che lo fecero stare bene. Compresa l’acqua riservata solo a lui, quella povera di sodio. Mi ritrovai ad avere un nodo allo stomaco quando si ammalò di gastroenterite, a restargli accanto, angosciata, quando si prese il raffreddore.
E lui mi ricompensò di tutto.
Oggi, a sei anni e mezzo, Boris è un coccolone, che spesso tende le zampine per essere preso in braccio, ed è un pazzo scatenato quando gioca, non ha mai perso l’energia dei primi mesi. E io, con lui, tiro fuori quella parte di me che hanno visto in pochi, e che pochissimi avranno il privilegio di vedere in futuro. Divento arrendevole, accondiscendente, priva di ogni “vis” polemica, pronta solo ad abbandonarmi ai suoi baci umidi e alle sue fusa. E grazie all’amore per Boris ho iniziato ad occuparmi di una colonia. Anche lì ho i miei pupilli, non riesco a limitarmi a portare loro da mangiare, devo interagire con loro, creare un rapporto. Ed è stato bellissimo rivedere una gattina che avevo fatto adottare e scoprire che, dopo la mia visita, aveva abbandonato l’atteggiamento riservato e ombroso che faceva preoccupare i nuovi padroni. Forse, davvero riesco a parlare coi gatti. Forse ho trovato il mio canale di comunicazione, io che da sempre ho avuto un carattere ribelle, insofferente e impaziente.
E non posso non constatare che il merito è del mio Boris, il mio micione dal musetto furbo che ha abbattuto tutti i miei muri con un semplice sguardo e una melodia di fusa.
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Angela Giulietti, Fusa e mascara, 2011
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immagine dal web
Angela Giulietti, Fusa e mascara, 2011
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