collettivo culturale tuttomondo Ermanno Cavazzoni (Italia)
Le cicale di Ermanno Cavazzoni (Reggio nell’Emilia, 1947)
La cicala effettivamente passa l’estate a cantare, ed è falso che poi d’inverno vada a chiedere il cibo alla formica, sia perché la cicala si nutre di rugiada, dice Plinio (Nat. hist., XI, 32), sia perché non ha la bocca, ma una specie di piccola lingua con cui lecca la rugiada.
Poi se la cicala si presentasse alla porta della formica il primo problema sarebbe quello della comunicazione, perché è noto che le formiche non parlano, o se parlano, parlano talmente piano che nessuno finora, anche con degli apparecchi acustici, è riuscito a sentirle.
Mentre la cicala è abituata ad urlare, ed urla sempre la stessa canzone, che può avere diverse intonazioni da soggetto a soggetto o da luogo a luogo, ma fondamentalmente ripete sempre lo stesso concetto, che è un’affermazione, una specie di sì ripetuto, sì sì sì sì, che è anche il suo modo di pensare, che cioè tutto va bene, su tutti i fronti, e che al mondo ci vuole dell’ottimismo, e l’ottimismo ridà vigore ai mercati, la gente spende, i consumi aumentano, le industrie producono, è un circolo, e quindi si dimostra che l’ottimismo alla fine produce le condizioni per essere ottimisti.
Infatti la cicala succhia la rugiada al mattino presto, poi quando non ce n’è più e si entra in una fase di depressione economica che gli analisti giudicherebbero nera, di lunga durata, perché è estate, c’è caldo e il sole potrebbe restare in cielo fermo e asciugare tutto per dei mesi, quindi chi avesse ancora della rugiada dovrebbe fare come la formica e metterla via, risparmiarla; ecco che invece la cicala salta su un ramo e si mette a dire di sì: sì sì sì sì, cioè a esprimere sinteticamente l’ottimismo, che la rugiada adesso manca ma tornerà, i mercati riprenderanno vigore, per dirla con il linguaggio degli analisti, e tutta la mattina la passa a dir sì, e questo è comprensibile, perché è ancora sazia e contenta, ma a mezzogiorno e nelle prime ore del pomeriggio, quando brucia di più il solleone e ci si aspetterebbe un prevalere della sfiducia, cioè la classica caduta dei titoli azionari e dell’indice MIB, più che mai la cicala grida il suo ottimismo, mentre la formica laggiù in terra con una diversa teoria di mercato fondata sull’accumulo dei beni primari nella prospettiva che tutto inevitabilmente a un certo punto andrà male e crollerà l’agricoltura, la zootecnia, la meteorologia sarà avversa eccetera, la formica come è noto lavora e risparmia, e non compera titoli in Borsa né fa mutui a tasso variabile o tenta di speculare su consiglio della sua banca che dice di far gli interessi del cliente ma in realtà fa i suoi, esclusivamente.
Dal punto di vista della cicala, quella della formica è un’economia primitiva, che non tiene conto degli aspetti psicologici del mercato, e di come la ricchezza sia svincolata dall’effettivo possesso, quindi continua a gridare sì per tutto il pomeriggio, da tutti gli alberi, per chilometri e chilometri di campagna; questo sì, che fa venire mal di testa, si chiama frinire, il frinire delle cicale, che è come dire la loro scienza economica, la quale forse è più giusto chiamarla ideologia, tanto è ostinata e sincera, contro tutte le constatazioni di fatto, che cioè arde il sole, tutta la rugiada è evaporata e chi può dire se mai tornerà?
Finché a forza di cantare a turno o in coro, confermandosi reciprocamente, e in modo che quando una smette un’altra attacca, e non ci sia mai calo dell’ottimismo economico, viene la sera, attaccano i grilli, che come è noto fanno cri cri, che significa crisi, i grilli sono obiettivi, si riferiscono alla giornata, che è crollata, la luce è crollata, le fonti di calore crollate, sono catastrofisti e gridano tutta la notte perché si faccia qualcosa o dal buio non si uscirà. Ma le cicale nel frattempo sono cadute addormentate (per la fatica di sostener l’ottimismo) e non sentono.
Le formiche dal canto loro hanno chiuso le porte e son là tutta notte che contano.
Poi viene l’aurora, poi l’alba, e su tutti gli alberi, sull’erba eccetera, c’è la rugiada, la quale è venuta in seguito all’ottimismo, senza ottimismo non ci sarebbe stata questa nuova euforia dei mercati (dove per mercati intendono l’erba) e la fiducia degli investitori (che non si sa chi sono), è un fatto psicologico, dicono le cicale, o pensano, perché quanto a dire, dopo aver mangiato e bevuto, riprendono a dire il loro perpetuo sì.
E così tutto luglio, agosto, un po’ di settembre se fa ancora caldo, e ai primi freddi muoiono tutte; una catastrofe (dicono le formiche), un’ecatombe. Ma le cicale non lo vengono a sapere di questa loro ecatombe; non c’è uno storiografo, un Tucidide ad esempio, che sopravviva; e se ci fosse a chi lo racconterebbe?
Quindi mentre la formica rabbrividisce col metabolismo ridotto e rosicchia al buio i suoi sacchi di grano, nessuna cicala viene a bussare alla porta.
Loro continuerebbero a dir sì anche nell’aldilà, ce l’avessero, ma è improbabile. E in ogni caso le cicale, prima di morire, nei pochi attimi di pausa dal sì, credendo di fare i loro bisogni escrementizi, con l’ovidotto hanno deposto sotto terra le uova; le quali aspettano tranquille che sia finita la grande depressione economica per ricominciare a giugno da capo col loro ottimismo inguaribile.
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da Guida agli animali fantastici, Guanda, 2011
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immagine dal web
Ermanno Cavazzoni
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