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Cesarina Vighy (italia)

04/01/2025 By carlaita

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La cosa più stupida da dire a un malato è che lo si trova molto bene, che è una fissazione, che tutti stanno un po’ giù ecc.
La cosa più triste, invece, è quando non te lo dicono più, anzi non sanno bene che dire.
Solo i dottori trovano le parole per ingannarti, è questo che imparano all’università, e tu esci dallo studio sollevato ma appena arrivi all’ascensore ti rendi conto che sono balle a pagamento e fai la faccia di Bob Hope quando scopre uno scheletro nell’armadio: lo richiude subito come se niente fosse ma dopo due minuti urla per lo spavento.

Cesarina Vighy

incipit de L’ultima estate, Fazi Editore, 2009

Premio Campiello – opera prima 2009
Finalista Premio Strega 2009
Premio Cesare de Lollis 2009

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Da dove arriva la voce di Zeta? Apparentemente dal luogo più inabitabile e muto: la malattia, in quel punto estremo che toglie possibilità, respiro, futuro. Ma è solo apparenza: questa voce proviene dal nucleo più irriducibile e infuocato della vita. Che non tace, non cessa di guardare e amare. E anzi, comincia qualcosa: a scrivere. È fragile l’equilibrio che genera queste pagine. Per Zeta qualsiasi gesto ora è enorme, la fatica non solo fisica è in ogni momento fatale. E i ricordi sono uno squarcio lacerante nella memoria di una vita tenacemente irregolare: la nascita fuori dal matrimonio della “bambina più amata del mondo”, l’infanzia sotto le bombe, Venezia splendida e meschina, il primo disastro sentimentale e poi Roma becera e vitale, l’esperienza della psicanalisi, l’avventura del femminismo, il cammino della malattia. E sempre la coriacea e gentile difesa della propria individualità, l’irrisione delle tribù e delle cliniche cui ha rifiutato di appartenere. Così la storia della sua vita scorre laterale, vissuta intensamente ma mai accettata, come non fosse mai meritevole di piena identificazione. Con una lingua nitida, feroce, mai retorica, attraversata da una vena di sarcasmo che non concede nulla alla pietas, questo romanzo d’esordio scritto a settant’anni affronta il più evitato degli argomenti: la sofferenza. Mai, lungo queste pagine, si può dimenticare che l’autrice è malata, gravemente. Però basta uno spiraglio della finestra in cucina a far entrare un platano o un merlo. C’è una Gatta fedele, indulgente, comprensiva. C’è una esistenza verso cui – Zeta non lo direbbe mai e certamente si rifiuta perfino di pensarlo – si può nutrire un orgoglio felice. Segnata com’era, ora finalmente appare bella. E piena di sogni, ricordi, fantasmi, di intelligenza. Non degenera: può sfidare il peso dei rimorsi del passato e l’orrore dei sintomi di oggi, ironicamente e fieramente: «Dicono che si nasca incendiari e si muoia pompieri. A me è successo il contrario: brucerei tutto, adesso». Lo fa in questo libro singolare: piccolo auto da fé e magnifico inno alla vita che era ed è.

Marino Sinibaldi

Cesarina Vighy, nata a Venezia ma romana d’adozione, già settantatreenne e gravemente malata di SLA, ha esordito nel 2009 con L’ultima estate, vincitore del Premio Campiello Opera Prima e finalista al Premio Strega.

È morta il 1 maggio 2010, due giorni dopo la pubblicazione di Scendo. Buon proseguimento, un addio sotto forma di mail realmente inviate a familiari e amici.

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