collettivo culturale tuttomondo Antonia Pozzi Riflessi
Riflessi di Antonia Pozzi (Milano, 1912 – Milano, 1938)
Parole – vetri
che infedelmente
rispecchiate il mio cielo –
di voi pensai
dopo il tramonto
in una oscura strada
quando sui ciotoli una vetrata cadde
ed i frantumi a lungo
sparsero in terra lume –
26 settembre 1933
da Parole. Diario di poesia, A. Mondadori, 1943
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immagine: Patrizia Impagnatiello
Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – Milano, 3 dicembre 1938) è stata una poetessa italiana.
Figlia di Roberto, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove vive con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che, a causa dei pesanti ostacoli frapposti dalla famiglia Pozzi, verrà interrotta da Cervi nel 1933.
Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, e segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert.
Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi tanti interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia il tedesco, il francese e l’inglese, viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive e cerca sollievo nel contatto con la natura solitaria e severa della montagna.
Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.
Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrisse quell’anno a Sereni.
A soli ventisei anni si tolse la vita. Nel suo biglietto di addio ai genitori scrisse di «disperazione mortale». Si uccise mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante l’abbazia di Chiaravalle. La famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. (fonte Wikipedia)
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