cctm collettivo culturale tuttomondo Vivian Lamarque Fare una margherita
Fare una margherita (scrivere) di Vivian Lamarque (Tesero, 1946)
Allora non è facile fare una poesia?
non basta prendere un pezzo di carta
e una matita? non è come per la terra
fare un filo d’erba, una margherita?
da Coinquilina poesia, in Madre d’inverno, Mondadori, 2016
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immagine: Patrizia Impagnatiello
Vivian Lamarque (Tesero, 1946) è una poetessa e scrittrice italiana.
La sua scrittura è connotata da una semplicità di stile molto apprezzata e nella sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti. Tra le raccolte poetiche si ricordano: Teresino (1981, Vincitore del Premio Viareggio per l’Opera Prima), Il Signore d’oro (1986), Poesie dando del Lei (1989), Il signore degli spaventati (1992), Una quieta polvere (1996), Poesie per un gatto (2007), Madre d’inverno (2016, Premio Bagutta 2017), L’amore da vecchia (2022). Ha insegnato italiano agli stranieri e letteratura nei licei, è stata una traduttrice e una prolifica scrittrice di libri per bambini e di fiabe, e collabora con il Corriere della Sera.
Vivian Lamarque possiede una rarissima dote: quella di rendere lievi e trasparenti i temi e gli strappi dell’emozione più complessi e profondi. E di comunicarne le tracce e gli esiti con la grazia sottile della sua impeccabile ‘petite musique’.
Ne aveva dato prove nelle opere precedenti e lo conferma in questo nuovo libro, dove già dal titolo,” Madre d’inverno”, indica il percorso centrale di una raccolta che riesce comunque a svilupparsi in varie direzioni. L’idea e la figura materna, dunque, vissuta nel trauma originario – accettato con sapienza eppure inguaribile, nel paradosso e nel dolore – della sua doppia immagine, quella della madre biologica e quella della madre adottiva.
In uno scenario aperto e sofferto, fitto di elementi di una concretissima realtà quotidiana, dove si intessono frammenti di dialogo e schegge di parlato, si passa da una iniziale sequenza ospedaliera a una serie di versi in cui si realizza una sorta di postumo colloquio con la figura materna.
Rispetto alla quale il coinvolgimento del lettore scatta immediato poiché, partendo dalla propria esperienza personale, l’autrice mette a punto un disegno in cui la madre diventa una forma assoluta, diventa l’emblema di tutte le madri. Nella mobile ricchezza di un’opera composta in un ampio arco di tempo, l’autrice si rivolge alle più svariate tracce della memoria, fino a introdurre, improvvisa, “l’altra madre”, quella biologica, insinuando, in un tono di assoluta normalità antiretorica, un senso di pervasiva, interiore instabilità.
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