collettivo culturale tuttomondo Endre Ady (Ungheria)
_
Io sono parente della Morte.
Amo l’amore morente,
amo baciare
chi se ne va.
Amo le rose malate,
le vogliose donne sfiorenti,
e i lucenti, malinconici
tempi d’autunno.
Amo il richiamo spettrale
delle ore tristi
e il fratello giocoso
della grande e santa Morte.
Amo coloro che partono,
che piangono e si destano
e, nei freddi mattini brinati,
i campi.
Amo la stanca rinuncia,
il pianto senza lagrime,
la pace, rifugio di saggi, di poeti
e di malati.
Amo i delusi, gl’infermi,
coloro che sono fermi,
gl’increduli, i tristi:
il mondo.
Io sono parente della Morte.
Amo l’amore morente,
amo baciare
chi se ne va.
_
Endre Ady
_
traduzione di Paolo Santarcangeli
da Endre Ady, Poesie, Lerici editori, Milano, 1964
foto: Max Pixel, CC0 Public Domain
Endre Ady (Érmindszent, 1877 – Budapest, 1919) è uno dei grandi poeti europei del Novecento.
È vissuto nell’Ungheria a cavallo di due secoli, alla vigilia del crollo dell’impero austro-ungarico, mentre il paese era combattuto tra arretratezza e modernità, tra le rivendicazioni sociali stroncate dalla tragedia della Grande Guerra e la nascita dei grandi movimenti artistici e culturali del Novecento.
Di tutti gli umori del tempo ha fatto materia dei suoi versi.
Poeta “maledetto”, consumato dall’alcool e dal fumo, spesso in povertà, ma con l’ambizione di frequentare il grande mondo internazionale della cultura, fu portato a morte precoce dalla sifilide contratta in un incontro occasionale.
Inviso ai benpensanti, adorato dal popolo e dagli artisti, nella Budapest in cui si addensavano le ombre di un fascismo spietato seppe tenere aperto uno spiraglio di libertà, assieme a Béla Bartók, György Lukács, Lajos Kassák.
Di famiglia calvinista, ebbe sempre una passione profonda per i testi della tradizione biblica, ma non ne fece mai oggetto di una devozione formale.
Il suo definirsi un «incredulo che crede» lo fa sentire vicino alla sensibilità dell’Occidente contemporaneo.
Io sono parente della Morte. Amo l’amore morente … Endre Ady