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“In franchi o in euro?” Prima o poi dovrò chiederlo a qualcuno che se ne intende se quando usi la carta di credito in Svizzera è più conveniente pagare in franchi o in euro.
“In franchi”. Venti franchi e mezzo. Neanche tanto. In confronto alla salassata di ieri con i massaggi, oggi mi va di lusso, anche se questa vacanza mi sta costando mezzo stipendio. Mio figlio, tredici anni, passa dal padre la fine delle vacanze natalizie e io non ho voluto restare a casa il giorno dell’epifania sola come una befana.
Mio marito mi ha lasciato da un anno esatto, dopo una vita passata insieme, e il 2011 appena terminato è stato il mio annus horribilis.
Non che non avessi avuto giorni difficili in passato, mia mamma è morta vent’anni fa tenendomi la mano, e neppure dopo è stato sempre rose e fiori, ma ho superato tutto col tempo e con un po’ di rassegnazione. Forse perché ero più giovane. Forse perché non ero da sola. E così, da sola, ho deciso di trascorrere questi quattro giorni in Engadina, dove prima della separazione passavamo le vacanze invernali e parte di quelle estive.
Anche tu, però … vai in Valtellina! vai sulle Dolomiti! No. In Engadina. Era una prova che dovevo superare. Fare le vacanze da soli non è facile. Devi rompere l’imbarazzo tuo, degli amici e di quelli che ti vedono in giro da sola. Quando sei da sola hai la presuntuosa sensazione che tutti ti guardino, tutti si accorgano e si domandino che cosa ci fai li da sola.
Che sei una sfigata che nessuno vuole, che tutti hanno ripudiato. Come se davvero tutti non avessero niente di meglio da fare che guardare te.
Senza mio figlio (che sta crescendo e si è occupato fin troppo della mamma), senza amici (ho evitato di chiamare anche quelli che mi hanno cercato più volte, rischiando di fare la figura della stronza incontrandoli per caso) e persino senza Marta, il nostro vecchio golden retriever che, nonostante quindici anni suonati, un soffio al cuore e una brutta caduta in un burrone ghiacciato, si diverte ancora a nascondersi nella neve. Volevo prendermi cura di me: passeggiate silenziose, un po’ di shopping, musei, terme, massaggi.
Coccole.
Anche se nella mia stanza ‘doppia uso singolo’ (che non si capisce se la chiamano così apposta per sottolineare che sei una sfigata) mentre mangio un panino davanti alla tele, mi domando se è stata davvero una buona idea.
Sto entrando in sauna. La sauna di Pontresina non è elegante come quella dei mega alberghi della zona, ma io mi trovo a mio agio proprio per l’atmosfera rilassata e senza pretese. Aprire le porte della sauna, di quella sauna, è come entrare in un altro mondo. Dove le persone di entrambi i sessi girano nude senza malizia né vergogna. Dove ti siedi a sudare senza veli vicino a uno che per strada non avresti salutato e forse nemmeno guardato. Dove riconosci i pochi italiani perché, come te le prime volte, sono gli unici ad aggrapparsi al proprio asciugamano come un bimbo alle gonne della madre.
Ho imparato a mie spese che in sauna è meglio guardare gli occhi e non il resto, per evitare di vedere cose che non fanno bene allo spirito. Ma in sauna, oggi, gli occhi non mi bastano.
Seduto con eleganza sull’ultimo ripiano di legno, con belle spalle diritte e gambe lunghissime, c’è l’uomo più bello del mondo. Ha tra i cinquanta e i cinquantacinque anni, capelli corti ricci, bianchissimi. Occhi azzurri brillanti che spiccano su un viso delicatamente abbronzato. Sorriso accennato, ma delizioso.
Mi sistemo in modo da fingere concentrazione sul mio riposo e continuare a guardarlo, ma dopo un po’ lui si alza, il legno scricchiola appena sotto il suo movimento, apre la vetrata con garbo ed esce nel prato innevato, nudo, senza asciugamano. E lì, saldo sui piedi come un guerriero vichingo prima della battaglia e imperturbabile come un filosofo greco davanti alla morte, incomincia a spalmarsi di neve.
In sauna la temperatura aumenta o forse sono io che ho questa impressione. L’odore di pino del legno è sempre più forte, io rimango inchiodata alla mia panca e cerco di non pensare a niente, a chi ero prima, alla moglie che non sono più, alla madre che per fortuna sarò sempre, alla donna che continuo ad essere. Lui è bellissimo. Alto e magro il giusto. Senza pancia. Un sedere non troppo tondo ma disegnato alla perfezione. Sodo, senza la classica sagoma bianca delle mutande così deprimente, come se fosse abituato a girare sempre senza vestiti.
Penso che ora mi alzo e lo raggiungo. Penso che ora lo bacio lì nella neve, davanti a tutti. Penso alla storia d’amore che sta per iniziare. Penso che è ora di smettere di piangere. Penso che vale la pena darsi un’altra possibilità. Penso che è una fortuna avere un’altra possibilità.
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Donata Vittani
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opera: Jordan Mejias, Back
Donata Vittani
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