cctm collettivo culturale tuttomondo Cecilia Lavatore (Italia)
Se al posto delle gambe noi avessimo delle radici dovremmo piantarle in un libro. In un bel libro.
Così nascerebbero altri libri.
E dai libri nascerebbero altri racconti.
Raccolte di racconti, diramazioni di racconti, filari e coltivazioni di racconti da ammassare sugli scaffali come riserve di granai pubblici
per i prossimi inverni freddi dello spirito.
Per quelli che non hanno voluto leggere abbastanza e per quelli che non hanno potuto leggere abbastanza. Per tutti.
Avremmo corpi in carta ed ossa, ali di lettere pronte a spiegarsi e a spiegare cos’è che volevamo dire
che non abbiamo detto.
E dovevamo dire.
Semi di significati, molte altre vite e idee rilegate come spighe che non si possono incatenare. Né invadere. Né calpestare.
Pagine di volontà. Ed estreme ragioni.
Se piantassimo le radici in un bel libro non ci potrebbero portare via dalla nostra casa. Saremmo fili di grano o file di fibre
tese verso il centro della Terra. Con fronde alte per scrollare al vento semi e frutti della nostra fantasia. Moriremmo forse un po’, ma sempre senza fine.
Avremmo pagine su pagine di frasi da sfogliare, foglia per foglia. Alberi maestri. Tronchi robusti. Centinaia di anni di cerchi concentrici, poesia e solitudini. Fotosintesi. Grandi cuori.
Se piantassimo le radici
in un bel libro noi esisteremmo come storie e non come numeri, perché le storie esistono solo se qualcuno le racconta. I numeri se qualcuno li usa.
E poseremmo sguardi consapevoli su noi stessi. Sulle nostre cortecce di paure.
Se piantassimo le nostre radici in un bel libro, dai nostri pensieri nascerebbero fior fior di sacrosanti silenzi e torneremmo ad essere umani più che esseri urbani.
Se piantassimo le radici in un bel libro noi saremmo preghiere laiche sottoposte ai tavoli delle sale lettura. Ricordate per passione. Divorate con voracia.
Volumi da abitare, maiuscole per la nostra voce forte, punti e a capo
un modo nostro di ricominciare
tra virgola e virgola, come incisi – questo saremmo – segnalibri sulle ultime consonanti spinte ai margini di tutto lo scibile,
inchiostro, macchie, refusi, errori di copiatura. Castelli di destini incrociati costruiti riga su riga, fin su, che non si vede la cima
vegetazioni per fare ombra al dolore assolato degli oppressi, induci a cui aggrapparci, nella notte, cercando altri di noi, come noi
innamorati di tre sillabe. Questo saremmo, libertà.
Cecilia Lavatore
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immagine dal web
Cecilia Lavatore (Roma, 1990) è autrice e interprete dei suoi testi, insegna Lettere alle scuole superiori e collabora con il quotidiano “Il Messaggero”.
Nei suoi monologhi e nelle prose poetiche racconta testimonianze di vite coraggiose e significative per la lotta alle ingiustizie sociali, affiancate da brani più intimi e autobiografici.
Ha pubblicato il romanzo Citofonare Morabito, le voci di Corviale, la raccolta di racconti Mia sorella è figlia unica, la silloge Rame, materiale per una termo-poetica, e il libro comico-umoristico Cabaret Decameron.
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