cctm collettivo culturale tuttomondo juan rulfo (Messico)
Ma le strade percorse da lei erano più lunghe di tutte le strade che io avevo percorso nella mia vita e ho capito che mai avrei smesso d’ amarla.
Pero los caminos de ella eran más largos que todos los caminos que yo habia andado en mi vida y hasta se me ocurrió que nunca terminaría de quererla.
Juan Rulfo
da La pianura in fiamme, Mondadori, 1963
de El llano en llamas, Fondo de Cultura Económica, 1953
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traduzione: Giuseppe Cintioli
foto Couple in the rain by Schurawski – fair use
Juan Rulfo (Sayula, 16 maggio 1917 – Città del Messico, 7 gennaio 1986), è stato uno scrittore, sceneggiatore e fotografo messicano.
Rimasto orfano in giovane età , si stabilisce nel 1929 a Guadalajara, dove abita con la nonna, ma poi entra in orfanotrofio. Dal 1934 vive a Città del Messico, dove frequenta da uditore l’Antico Collegio di Sant’Ildelfonso.
È ora uno degli autori più apprezzati dell’America Latina, al punto che in un sondaggio realizzato dalla casa editrice “Alfaguara” è risultato essere, insieme a Jorge Luis Borges, il più popolare scrittore di lingua spagnola del XX secolo, capostipite del realismo magico.
Le sue uniche opere pubblicate in vita sono la raccolta di racconti La pianura in fiamme (El llano en llamas, 1953) e il romanzo Pedro Páramo (1955), oltre a un volume di canovacci cinematografici, Il gallo d’oro (El gallo de oro y otros textos para cine, 1980). Postumi, sono usciti alcuni racconti riuniti in Los cuadernos (1995), e i frammenti di un romanzo incompiuto, Aire de las colinas (2000). (fonte Wikipedia)
I racconti che compongono “La pianura in fiamme” ripropongono, come pezzi di un mosaico, i personaggi e gli spazi di un Messico che Rulfo trae direttamente dai racconti degli abitanti del suo paese e dalla sua biografia. Le vicende narrate, dettate da un’infanzia vissuta tra morte e distruzione, racchiudono la stessa visione crudele del mondo che ritroviamo nell’universo di “Pedro Parámo”: grida, preghiere e imprecazioni di una terra che mostra le sue radici più profonde. Rulfo racconta di uomini braccati e ammazzati, stremati dalla fame, dal sonno, dalla vita, di mammelle di pecora morse dal succhiare di un uomo affamato, di pallottole nel cielo. Nelle sue parole si sentono la terra, la polvere, le ore passate a camminare senza incontrare anima viva, circondati da una natura maligna: c’è la pianura dove si fatica a parlare perché “le parole si scaldano in bocca con il calore di fuori”, dove cade solo una goccia di pioggia, non due. Dove non ci sono conigli. Né uccelli. Dove prima erano in venti a cavallo e ora sono in quattro a piedi. “I cicli vitali, il volgersi delle stagioni, il destino dell’uomo trovano in Rulfo un cantore eccezionale