cctm collettivo culturale tuttomondo Italo Calvino Il guanciale
Il guanciale di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 – Siena, 1985)
Chi sostiene che il guanciale è bianco in quanto appartiene al paesaggio notturno, né più né meno che la luna, non tiene conto di quanto allegra possa esserne la vista alla piena luce del giorno, appena lo si scopra scostando il copriletto. Fresco e candido e paffuto, s’affaccia al capezzale, come per dire che durante il giorno il re del letto è lui, lui il padrone di quella distesa liscia e soffice. A differenza della luna che ha bisogno del buio per brillare, il guanciale porta in sé la promessa della notte — intesa come sollievo, morbidezza, crogiolamento, intimità — e insieme la luce che la rischiara.
Chi tenta di dare del guanciale una descrizione oggettiva, inevitabilmente fallisce. Si può provare a dire che è la sola forma al mondo che unisca la stabilità del quadrato (o meglio del rettangolo) e la pienezza della sfera (o comunque d’un corpo convesso e curvo in tutta la sua superficie), la saldezza d’un’isola e la duttilità d’una nuvola. Ma qualsiasi discorso su di lui finisce per assumere dei toni affettivi; del guanciale o si fa l’elogio, o si tace.
Ciò che il guanciale può accogliere — sonno, sogni, insonnia, amori, malori, morti, nascite — non si legge sulla sua superficie, che esprime solo una tersa serenità priva di rughe. Qualsiasi fossa o grinza che il guanciale si ritrovi al mattino, facilmente gli verrà scrollata di dosso: la sua vera fisionomia è l’assenza di lineamenti.
Del volto umano una sola cosa ricorda e ama: la guancia. Essere guancia, trovare in una guancia il proprio guanciale, è il suo tranquillo desiderio. Ed è grato alla guancia che gli è grata.
da Quattro studi dal vero alla maniera di Domenico Gnoli, in Guardare. Disegno, cinema, fotografia, arte, paesaggio, visioni e collezioni, Mondadori, 2023
opera: Domenico Gnoli, Orellier, 1967
Quattro studi dal vero alla maniera di Domenico Gnoli è il titolo di uno dei saggi più belli di Calvino che raccoglie quattro brevi scritti su quattro quadri di Gnoli che ritraggono: una scarpa da donna, un bottone, un collo di camicia da uomo, un guanciale.
Ognuno di questi “semplici” oggetti dipinti sono in realtà rappresentati su tela come fossero enormi dettagli, monumenti sconcertanti, come se Gnoli con una lente di ingrandimento avesse scelto cosa farci guardare.
Avrebbe potuto benissimo completare il lavoro inserendo la presenza umana, disegnando ad esempio non solo una scarpa di una donna ma anche il collo del piede, la gamba, la presenza umana che la indossa.
Ogni singolo elemento viene “lasciato vivere” sulle opere pittoriche di Gnoli e in quelle scritte di Calvino, quel dettaglio su cui ci si focalizza è considerato come un’abitudine del pensiero e un atteggiamento di vita che fa in modo che la sua forza esemplare influisca su tutto il resto.
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 – Siena, 1985) è stato uno scrittore e paroliere italiano.
Dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza partigiana durante la Seconda guerra mondiale, intraprese la carriera di scrittore, esordendo con opere di ispirazione neorealista come “Il sentiero dei nidi di ragno”. Nel corso della sua vita letteraria abbracciò diverse correnti, dal neorealismo al postmoderno, con un’ampia produzione che spazia dal fantastico al saggio, caratterizzata da uno stile cristallino e da un interesse per la razionalità e l’ironia. Tra le sue opere più famose ci sono la trilogia “I nostri antenati” (Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente), “Le città invisibili”, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e “Cosmicomiche”.
Domenico Gnoli (Roma, 1933 – New York, 1970) è stato un pittore, illustratore e scenografo italiano.
E’ stato un vero gigante della creatività moderna, morto a soli 37 anni come Raffaello, Van Gogh e il Parmigianino. Gnoli, in quel pugno di primavere in cui ha vissuto, è riuscito lì dove molti suoi colleghi hanno fallito: ha trovato l’astrazione nella vita di tutti i giorni, semplicemente ingrandendo ed esplorando nel dettaglio le forme e gli oggetti più banali del mondo.
Come una bretella, un bottone o un’acconciatura.
Romano innamorato dell’Umbria (aveva lo studio a Spoleto), padre poeta e madre ceramista d’origine francese, il suo destino non poteva che essere nell’arte.
«Sono nato sapendo che sarei stato pittore, perché mio padre, mi ha sempre presentato la pittura come l’unica cosa accettabile», disse un giorno.
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