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Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321)

09/12/2022 By carlaita

collettivo culturale tuttomondo Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321)

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“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno XXXIV, 139), è l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Dopo aver faticosamente attraversato la natural burella che collega l’Inferno alla spiaggia dell’Antipurgatorio, Dante e Virgilio alla fine contemplano lo stellato cielo notturno dell’altro emisfero: è un presagio del nuovo cammino di luce e di speranza dopo le tenebre precedenti, “come pura felicità dello sguardo” (fonte Wikipedia)

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Ci siamo convinti che vita eterna sia sinonimo di futuro, come se presente ed eternità fossero cronologicamente contigui, successivi o comunque separati. E per questo abbiamo inventato utopie che riportassero il futuro nel presente, salvo poi deluderci perchè quel futuro non riguarda mai il nostro presente. Ogni utopia provoca infatti, alla fine dei conti, disperazione.

Non abbiamo letto Dante allora, o lo abbiamo letto male.

Presente ed eternità stanno l’uno nell’altro, che è quello che Dante ci ha mostrato. La vita eterna prende forza dentro il tempo, comincia dal presente, è un futuro che si fa presente, è una qualità dell’esistenza.

Dante lo mostra con le stelle.

La fine di ogni cantica dantesca parla di stelle, a dimostrazione del fatto che il suo viaggio non riguarda l’aldilà e basta, ma l’aldilà nell’aldiqua, uno dentro l’altro.

Il suo viaggio è un viaggio nel cuore di ogni uomo che ha i suoi inferni, purgatori e paradisi.

L’inferno si chiude con questo verso (34, 139 )

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Dall’inferno del cuore si esce volgendo lo sguardo alle stelle. Aver considerato tutto il male che si nasconde nel nostro cuore rischia di gettarci nella disperazione, ma allo stesso tempo ci apre al “desiderio” (le stelle: de + sidera) di vedere quel male sparire, cambiare, trasformarsi. Così il cuore concepisce lo slancio alla salita verso il monte del Purgatorio, che si chiude con questo verso (33, 145):

Puro e disposto a salire le stelle

Dante ha visto il male, tutto il male, il suo male, se ne è purificato, ne è stato lavato, ha compreso che il bene, per chi lo cerca, trionfa sempre e così nel suo cuore ora è nata un nuovo desiderio: la disposizione a salir le stelle, il desiderio va oltre, è rilanciato. Si trasforma in sete di vedere la fonte dell’amore che ha eliminato tutto il male che c’era nel suo cuore, per sapere se sarà per sempre, se c’entra con lui, con la sua vita. Così il Paradiso termina con questo verso (33,145)

l’Amor che move il sole e l’altre stelle.

Dante vede Dio, vi caccia lo sguardo dentro e trova sè stesso, il suo viso, scopre che ciò che governa l’universo fisico e spirituale è amore, è l’Amore. E quell’Amore ha voluto lui, lo ha attratto sino a sè, prendendolo così com’era, nel suo presente.

Dopo questa visione Dante torna al presente.

In realtà ci è sempre rimasto. Non ci ha raccontato una favoletta medievale, di demoni e angeli, ma la storia di un cuore che realizza tutti i suoi desideri (Beatrice è causa di tutto), e raggiunge le stelle.

Dall’inferno al paradiso non si è mosso di un millimetro, ha solo attraversato le regioni del suo cuore e lo ha scoperto immerso nell’eterno, voluto dall’eterno.

E questo è paradiso. (by Alessandro D’Avenia)

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