collettivo culturale tuttomondo Antonia Storace Il cuore
Ho imparato a pesare il cuore della gente con le mani. Duecentoventi grammi. Trecento. Trecentodieci.
Ho imparato a pesare il cuore della gente con le mani, e raramente sbaglio. Le metto a “cupptiello”, come con la frittura di paranza. Ci faccio una conca, una bacinella, un secchiello per bambini.
Al posto delle mani ho due piatti di bilancia, una stadera da “fruttajolo” che non mente.
Sottraggo la tara al peso lordo e misuro le persone al netto di chi sono.
Ho sentito, con le mani, cuori pesanti di piombo di malinconie. Altri, invece, erano leggeri, erano piume d’uccello, erano soffioni. Mi sono piaciuti tutti e due, e mi sono sentita un po’ piombo e un po’ soffione pure io, mentre mi pesavo il cuore con le mani a “cupptiello”, misurando la tristezza di certe assenze e, di altre assenze, la liberazione.
Il cuore è un muscolo che risponde alla legge di compensazione, ai vasi comunicanti, a sacco vuoto e sacco pieno.
I cuori più pesanti sono quelli stipati di rimpianti, come gli scaffali delle dispense alimentari. Li riconosco al tocco, mi basta poco, nun ce’ vò niente. Hanno dentro una tristezza diversa dalla tristezza dei rimorsi, che è più rabbiosa, incattivita ma vibrante. La tristezza dei rimpianti, invece, delle cose che non abbiamo osato per paura, delle persone che abbiamo perduto per inazione, per pavidità e inettitudine, è un sentimento apatico, depresso, insonnolito. Come quando non hai voglia di far niente e ti stravacchi sul letto pigramente, aspettando che il tempo passi, che qualcosa accada e ti travolga. La tristezza dei rimpianti è una tristezza che si è arresa e non reagisce. È un morto che cammina.
I cuori più leggeri, invece, i cuori – soffione, i cuori – piume d’uccello, li peso con una mano sola e tanto basta. Sono spumosi, sembrano friabili, mi ricordano la schiuma di sapone che si infrange quando l’hai montata a neve nella vasca; ci hai fatto dentro l’amore che profuma di nudo, l’amore che inarca i reni, quello che urla il piacere a bocca piena e ventre teso, quello che non s’aspetta niente e sente tutto, sente il doppio. L’amore che ti fa femmina, l’amore che ti fa uomo.
I cuori più belli sono un poco e un poco. Un poco pesanti e un poco leggeri. Un poco zavorra e un poco spuma.
C’hanno dentro il peso e la leggerezza, l’arrivo e la partenza, lo scatto di chi fugge e l’immanenza di chi resta. Al gioco di sacco vuoto e sacco pieno loro sono sacco mezzo, non per quella storia dei grigi, della diplomazia di chi non si schiera, non parteggia, non prende posizione. No. Al gioco di sacco vuoto e sacco pieno loro sono sacco mezzo perché la vita li ha spaccati in due, li ha divisi. Ci ha messo sotto la leggerezza dei soffioni, delle piume d’uccello e della spuma, e sopra la pesantezza del piombo delle malinconie. La prima regge la seconda e non le permette di cadere; la seconda resta in equilibrio sulla prima e non la schiaccia. È una legge fisica sbilenca, sovversiva; è una logica oltre-umana che sul o’ core pò capì.
Centocinquanta grammi, grazie. A me ne bastano duecento, prego. Io abbondo e facciamo trecento. Metto il cuore della gente nel “cupptiello” delle mani e faccio su e giù; molleggio a mezz’aria e poi sputo la sentenza: cuore soffione, cuore piombo, cuore sacco mezzo. Non lo dico e non lo lascio capire ma, da lì in avanti, io ti ho pesato.
Antonia Storace
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immagine dal web
Antonia Storace è nata a Napoli, il 23 maggio del 1986.
È una scrittrice, una giornalista pubblicista, e un editor. Il suo esordio letterario, Donne al quadrato, edito da Viola Editrice (2015) si è rivelato un vero e proprio caso editoriale: ancora oggi, a distanza di sei anni dalla prima pubblicazione, rientra nel novero dei bestseller Amazon, nella sezione Poesia e Teatro. Alcuni dei brani in esso contenuti hanno preso parte al reading letterario Parole Note a cura di Radio Capital.
Di se stessa dice: “Corro all’alba, arrivo in anticipo, mangio sfogliatelle al banco, viaggio in treno, guardo lontano”.
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